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L’accordo Italia-Libia pronto al rinnovo

Dopo 12 giorni di incertezza in mare, nella giornata di martedì 29 ottobre è finita l’attesa per la nave Ocean Viking, gestita dalle Ong Medici Senza Frontiere e SOS Méditerranée, che aveva saltato 104 persone nel Mediterraneo e dal 20 ottobre era in attesa di un porto dove sbarcare. La Ocean Viking ha attraccato a Pozzallo, dove è cominciato lo sbarco delle persone a bordo. Per loro ora comincerà il ricollocamento in diversi Paesi europei secondo l’accordo stipulato a Monaco di Baviera da Italia, Francia, Malta, Germania e Portogallo, per cui 70 persone verranno immediatamente ricollocate al di fuori del nostro Paese. Allo stesso modo, anche le 90 persone a bordo della nave Alan Kurdi, della Ong tedesca Sea-Eye, ma ancora non si sa in quale porto sbarcheranno.

Intanto, se da un lato le discontinuità tra la gestione dei singoli eventi durante lo scorso esecutivo e l’attuale sembra essere più evidente nei toni che nei fatti, il prossimo 2 novembre scatterà il rinnovo automatico del memorandum d’intesa tra Italia e Libia sulla gestione delle persone migranti, firmato da Roma e Tripoli il 2 febbraio 2017, ai tempi del governo Gentiloni. Con l’accordo, il cui rinnovo tacito non prevede modifiche o adattamenti, l’Italia aveva formato il personale impiegato nei centri di detenzione libici e per fornire mezzi per il pattugliamento in mare e in terra alla “guardia costiera libica”, istituita con l’incorporamento di gruppi armati e trafficanti di esseri umani all’interno di un’istituzione di Stato.

Nonostante le denunce di violazioni dei diritti umani documentate da organizzazioni umanitarie e dalle Nazioni Unite, a oggi nessuno dall’esecutivo italiano ha espresso la volontà di non rinnovare l’intesa, prorogata quindi per tre anni.

Il giurista Gianfranco Schiavone, vicepresidente di Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, sottolinea che «ci sono prove inoppugnabili del fatto che quando parliamo di finanziamenti al governo libico in realtà parliamo di finanziamenti a una galassia di realtà che vanno ben al di là dell’apparato statale, già di per sé fragilissimo. Parliamo di organizzazioni criminali che si mescolano in maniera ormai totale con le autorità libiche, quindi di fatto l’Italia finanzia organizzazioni criminali al fine di sfruttare i migranti sia in fase di soccorso sia nella fase della gestione della presenza del territorio».

Anche se l’impianto generale non verrà probabilmente modificato, è possibile che insieme al rinnovo si propongano alcune modifiche, innanzitutto sulla presenza delle organizzazioni umanitarie all’interno dei centri di detenzione, sulla possibilità di riattivare programmi di trasferimento e rimpatrio e in generale sul miglioramento delle condizioni nei centri governativi ufficiali, in cui al momento le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie hanno un accesso molto limitato. Tuttavia, queste modifiche dovranno essere approvate anche da Tripoli, mentre probabilmente non verranno sottoposte al Parlamento italiano. «È un dato sconcertante – prosegue Schiavone – perché siamo un Paese europeo, una repubblica democratica, è necessario un controllo su queste decisioni. Il memorandum che si sta andando a rinnovare non era stato votato in maniera corretta, non era stato discusso in sede parlamentare, quindi già in precedenza vi era una violazione dell’articolo 80 della nostra Costituzione. È un fatto che ha una rilevanza storica di cui ci verrà ci verrà chiesta ragione un giorno».

Oggi si stima che nei centri governativi libici sono detenute dalle tremila alle seimila persone in condizioni disumane, e il fatto che l’Italia abbia speso in questi due anni e mezzo oltre 150 milioni di euro di fondi pubblici per finanziare un sistema che viola i diritti umani non può passare inosservato. Certo, arrivati al 30 ottobre non sarebbe semplice decidere di non rinnovare il memorandum: «è chiaro – spiega Gianfranco Schiavone – che si creerebbe una situazione di vuoto, mentre alcuni interventi andrebbero probabilmente rivisti. Sicuramente gli interventi di carattere umanitario dovrebbero continuare e il governo italiano potrebbe rinegoziare alcuni interventi verso la Libia, ma ci vorrebbe trasparenza, quindi con un voto parlamentare e con un contenuto degli accordi estremamente rigoroso e delimitato. Non credo, ma questa è la mia opinione personale, che si possa semplicemente dire che non si ha più nessun tipo di rapporto con un paese in condizioni difficilissime come la Libia. Il punto è ritornare appunto nell’alveo di una trasparenza innanzitutto e di una chiarezza su che cosa andiamo a fare e dove vengono impiegati i soldi degli italiani».