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Eugenio Melandri, sempre a fianco degli ultimi

 Se pure, stando alla consapevolezza della nostra costitutiva finitudine oltre che alla parola sapiente del Qohelet, c’è un tempo per ogni cosa, resta difficile comprendere se questo – segnato dalla morte di Eugenio Melandri – sia il tempo di piangere un amico che ora è altrove o quello di rendere grazie per la vita buona e piena che gli è stata concessa. Sì, perché mi riesce faticoso sottrarmi alla suggestione che dalla sua esistenza (le sue tante esistenze, vorrei dire) sarebbe semplice ricavare la trama di un film; e di un film, nonostante tutto e a dispetto del Drago che l’ha aggredito un anno e mezzo fa, a lieto fine.

Appena una settimana prima di domenica 27 ottobre, infatti, Eugenio ha celebrato la sua seconda prima messa – rubo la definizione a don Zeno di Nomadelfia, un prete suo corregionale e come lui ripieno di radicalismo evangelico – dopo trent’anni, nella sua Romagna, circondato dall’affetto degli amici di sempre e dei missionari saveriani, in occasione della Giornata Missionaria Mondiale. Grazie all’intercessione di papa Francesco e del neocardinale Matteo Zuppi, si è scritto: e se tecnicamente l’osservazione è senz’altro corretta, credo sia legittimo sostenere che non si è trattato di riabilitare un figlio prodigo smarritosi lungo una via sbagliata, ma piuttosto di restituire alla sua dimensione più autentica una chiesa finalmente in grado, roncallianamente, di re-imboccare la strada della medicina della misericordia e non quella del bastone e della condanna. Dando un’altra prova provata, fra parentesi, che il pellegrinaggio di Bergoglio per le esperienze profetiche della cattolicità italiana che lo ha condotto a Loppiano e Nomadelfia, a Barbiana e Bozzolo, non è stato un belletto a poco prezzo per recuperare consensi, bensì l’indicazione di una traiettoria precisa di come oggi sia possibile vivere la pur faticosa radicalità evangelica; quel papa che, un anno fa, a Santa Marta, ti aveva stretto forte la mano mentre emozionatissimo gli raccontavi di te, e che, sorridendo, ti aveva detto: “Hai fatto bene!”.

Del resto, Eugenio è stato sempre, in tutti i suoi giorni, un missionario, come aveva scelto di essere. Lo divenne, beninteso, in una stagione storica e culturale in cui le ragioni tradizionali della missione ad gentes stavano sbriciolandosi: per cui si trattava, per rimanere fedeli al dettato delle Beatitudini, di salpare con la propria barca in mare aperto, senza più la protezione delle antiche formule che avevano raccontato la realtà, dalla chiesa società perfetta fuori della chiesa non c’è salvezza. Così, è stato per lui normale sparigliare le carte dirigendo il mensile Missione oggi mescolando le battaglie pacifiste e quelle ecologiste con un Gesù controcorrente, umanissimo e combattente; farsi eleggere al Parlamento europeo, pagando consapevolmente il prezzo di una sospensione a divinis e una riduzione allo stato laicale, e portare lì le sue lotte contro il commercio delle armi (penso al tuo libro del 1988 Bella Italia, armate sponde), per un’Europa dei popoli e per una rinnovata cooperazione internazionale; recarsi in una Sarajevo assediata con cinquecento compagni, fra cui il vescovo don Tonino Bello, per proclamare la profezia di una pace impossibile a occhi umani; inventarsi campagne e riviste, da Senza confine Chiama l’Africa Solidarietà internazionale, per ripetere, una volta di più, l’urgenza di sguardi ampi e vedute lunghe, in questo tempo malato di narcisismi, razzismi e individualismi senza fine. No, caro Eugenio, non sei stato un prete rosso, come ti hanno definito quei media che hanno bisogno di titoli a effetto, ma, semplicemente, un prete e un missionario vero, sin da quando partisti dalla tua Brisighella, disposto a tutto per testimoniare con il tuo stile di vita le due ragioni che ti hanno mosso costantemente: la forza storica dei poveri e l’audacia incapace di compromessi del vangelo. Gracias a la vida, allora, come ti piaceva siglare i tuoi resoconti della lotta contro il Drago, per averti incrociato, esserti stato vicini e voluto bene.

Con un forte, forte abbraccio. Hai fatto bene!