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Immigrati, una risorsa e una sfida

Il lavoro è il focus del Dossier statistico immigrazione 2019 redatto da Idos con il partenariato del Centro Studi Confronti, presentato ieri in contemporanea nelle principali città italiane (qui il resoconto da Roma dell’agenzia Nev). Alla Casa valdese di Torino, davanti a un folto pubblico di giornalisti e operatori del settore vari oratori hanno commentato il corposo volume, che ha il merito di superare la narrativa, ancora dominante, che classifica gli immigrati come problema di sicurezza o, nel migliore dei casi, come vittime, per raccontare che cosa è realmente l’immigrazione oggi in Italia.

La realtà evidenziata dai dati parla di un’immigrazione che per più del 50% è interna ai confini europei (soprattutto da Romani e Albania); la percentuale di rifugiati e richiedenti asilo è piuttosto bassa (a livello europeo l’8,8%, in Italia addirittura lo 0,3%). Non bisogna poi dimenticare che l’Italia stessa è terra di emigranti, come ha sottolineato in apertura Enrico Allasino, dirigente di ricerca Ires Piemonte: 126.200 nel 2018 (ma i dati reali sono più del doppio), soprattutto da Lombardia, Piemonte e Veneto. Se la popolazione italiana aumenta (di poco), conferma la ricerca, è grazie alla popolazione immigrata, che “rende più di quel che cosa” per dirla in termini grezzi, anche perché la maggioranza è nella fascia d’età produttiva e sono pochi (ma ci sono, ed è un dato di cui tenere conto) gli over 65.

Il Dossier di quest’anno esce in un momento di transizione, ha detto il ricercatore Luca Barana (Istituto Affari internazionali) presentando i dati del Piemonte: non sono ancora evidenti le conseguenze dei “decreti sicurezza”, in particolare sulle oltre 400 soluzioni abitative per rifugiati e richiedenti asilo presenti a fine 2018 in 120 comuni, un modello virtuoso di accoglienza diffusa messo a rischio dai provvedimenti.

Per venire al tema del lavoro, dati significativi sono stati citati da Barana e da Federico Daneo, direttore del Centro Piemontese di Studi africani, che ha condotto la mattinata: si tratta spesso di migranti sovraistruiti (cioè svolgono un lavoro di livello inferiore a quello previsto dal loro titolo di studio), Interessante il dato sull’imprenditoria straniera, in Piemonte il 10% delle imprese ha un titolare straniero (la media nazionale è di poco inferiore), con una crescita del 13% nell’ultimo anno. Eppure i visti di lavoro subordinato, soprattutto stagionali, costituiscono solo l’1% degli ingressi autorizzati (il 6% dei permessi totali per lavoro, calati di quasi il 30% negli ultimi 7 anni), mentre più della metà dei permessi di soggiorno è per motivi familiari – anche se poi si può supporre che queste persone, in un modo o nell’altro, lavorino…

Parlare di lavoro significa infatti integrazione, ma anche sommerso: dei 2 milioni di lavoratori (soprattutto donne) nei servizi alla persona e nel lavoro domestico, ha spiegato il vicepresidente di Assindatcolf Alessandro Lupi, 1,2 milioni sono irregolari, con conseguenze nefaste in termini fiscali e di tutele dei lavoratori. Parlare di lavoro sommerso significa anche parlare di sfruttamento e caporalato: lo ha fatto nel suo focus sul mondo agricolo Claudio Stacchini, Cgil Piemonte, citando il “caso Saluzzo” e l’avvio di una buona pratica che coinvolge sindacati, Caritas, enti locali e Regione (il Protocollo è stato confermato dalla giunta Cirio), sottolineando l’importanza delle azioni che partono dal basso. Un tema evidenziato anche da Massimo Gnone (Unhcr) citando esempi locali in cui senza attirare il clamore dei media si pratica da anni un’integrazione concreta: per esempio a Padova, con l’iscrizione all’anagrafe dei migranti.

Il fenomeno migratorio, è stato il messaggio più o meno esplicito di tutti gli interventi, va tolto dalla dimensione emergenziale per essere riportato alla “normalità”: quella normalità sperata in particolare dalle “seconde generazioni”, la cui voce è stata portata da Gerta Beqiri, giovane di origine albanese che ha trascorso in Italia la maggior parte della sua vita ma solo dopo 22 anni ha ottenuto la cittadinanza, con tutte le conseguenze negative in termini di studio, accesso ai concorsi, assistenza sanitaria. «Oggi vediamo stranieri che aiutano stranieri: non più albanesi che aiutano albanesi, o cinesi o marocchini», ha detto, rilevando un fenomeno di integrazione nell’integrazione, che travalica le barriere nazionali.

Un medesimo atteggiamento lo si vive in fondo anche all’interno delle chiese interessate dal fenomeno dell’”Essere chiesa insieme”, non citato esplicitamente ma sottinteso nelle parole della vicemoderatora della Tavola valdese, pastora Erika Tomassone, e di Gianluca Barbanotti, segretario esecutivo della Commissione Sinodale per la diaconia, che hanno sottolineato come per le chiese protestanti italiane la “sfida” riguardi sia l’integrazione di fratelli e sorelle cristiani (il 52,2% degli stranieri in Italia, 4,4% protestante) ma anche la lotta alla «parcellizzazione dei diritti» che fa sì che non a tutte le religioni siano attualmente riconosciuti i diritti attraverso un accordo con lo Stato (ai musulmani, ma non solo). 

Il dossier, che (ha ricordato Tomassone) è un tassello di un’azione più ampia nell’ambito delle migrazioni, si presenta quindi come un utile strumento anche di formazione, perché, in tempi in cui dominano le fake news, «ancora il discorso alla realtà» ed è l’unico modo (ha concluso Barbanotti) di superare davvero i discorsi d’odio.