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Le chat di Whatsapp: pozzi neri di una società che non sa comunicare

The Shoah Party
Venticinque ragazzi sono stati coinvolti in un’indagine durata più di sei mesi da parte della procura dei minori e della procura distrettuale di Firenze. La maggior parte ha un’età compresa tra i 14 e i 17 anni, cinque hanno più di 20 anni e pochi altri non sono risultati imputabili perché di età inferiore ai 14 anni.
Inni a Hitler, al Duce e a Bin Laden, video della violenza efferata delle esecuzioni dell’Isis, epiteti ingiuriosi nei confronti di ebrei, persone straniere e omosessuali ma anche materiale di pornografia e pedopornografia. Ciò che i carabinieri hanno visionato per cinque mesi all’interno della chat è stato scoperto grazie alla denuncia di una madre senese che ha controllato lo smartphone di suo figlio. “The Shoah party” è il nome scelto per il gruppo WhatsApp in cui ragazzi maggiorenni e minorenni condividevano file, video e messaggi.
Materiale che ha avuto origine da un gruppo di ragazzi residenti a Rivoli (TO) e che, nel corso dell’operazione partita a gennaio 2019, ha visto il sequestro di decine di smartphone e computer.
Una vera e propria rete che ha visto coinvolti non solo i trenta ragazzi indagati ma anche altri giovani, tra i 13 e i 17 anni, aggiunti al gruppo nel corso del tempo. Questi, però, una volta essersi resi conto del contenuto deplorevole della chat, hanno abbandonato il gruppo senza denunciare niente a nessuno.

«Se tu non esistessi sarebbe tutto migliore»
Gli smartphone, i tablet e i portatili degli adolescenti (e non solo) possono nascondere al loro interno insidie e mondi straordinariamente violenti. Il silenzio che circonda queste realtà talvolta porta a conseguenze ancora più gravi.
Risale al 2 ottobre 2019 la notizia di una ragazzina romana di 13 anni che si è tolta la vita lanciandosi dalla finestra di casa al nono piano. La procura ha aperto un’indagine per comprendere il gesto estremo che la ragazza ha compiuto in zona Valle Aurelia. I sospetti sono subito ricaduti sulle offese e le vessazioni anonime ricevute su una chat chiamata “This Crush”; un social molto usato dai giovani accessibile tramite l’applicazione Instagram. Offese e messaggi che, una volta appresa la notizia della morte della giovane, qualcuno si è affrettato a cancellare.

È rimasta coinvolta in un’indagine simile anche la storia di A.S., un ragazzo di 15 anni che nel 2012 si è impiccato nella sua casa a Roma. I compagni di classe lo prendevano in giro a scuola e soprattutto sul web: avevano creato una pagina Facebook in cui lo schernivano per i suoi modi di fare considerati troppo effeminati e per il suo abbigliamento. Una pagina che è rimasta visibile a tutti per più di un anno.

Non solo giovani, ma anche i genitori
Negli ultimi anni addirittura i presidi di alcuni istituti italiani hanno richiesto ai genitori di cancellare i gruppi sulla ormai famosa piattaforma di comunicazione. Non solo i giovani quindi, ma anche gli adulti rimangono coinvolti, e talvolta intrappolati, nella rete della messaggistica istantanea. La possibilità di risposta immediata porta i singoli partecipanti delle chat ad avere reazioni a caldo, trasformando in terreno di polemica e scontro un luogo di scambio di comunicazioni e informazioni utili per l’andamento scolastico dei figli.
Se, per i giovani, la barriera tecnologica diventa un luogo tramite cui nascondersi e lanciare vere e proprie campagne discriminatorie nei confronti dei compagni di classe, colleghi di corso o amici della compagnia, per gli adulti la situazione non cambia: se sono coinvolti i figli c’è la competizione e il desiderio di prevaricare sulle idee del genitore del compagno di banco rumoroso, se si è tra coetanei le dinamiche non risultano così diverse tra quelle che si creano tra i banchi di scuola.

Il pozzo nero della società
Uno specchio, un testamento per i tempi a venire in cui tutto quello che abbiamo scritto rimarrà – anche quando si abbandoneranno i gruppi e le chat vari. Un fenomeno da tenere sotto controllo sempre, perché fonte di prevenzione al disagio, alle discriminazioni e alle conseguenze correlate spesso ben peggiori. Più attuale che mai il gruppo di WhatsApp può essere un mezzo utilissimo per superare le distanze e risolvere questioni formali e informali. Ma si può trasformare anche nel pozzo nero di una società incapace di comunicare. Di affrontare in via “analogica” il confronto, il dialogo necessario per superare le problematiche, le differenze e la convivenza forzata che spesso luoghi come la famiglia, la scuola o l’ufficio impongono.