44136053684_19f7163842_b

Che cosa hai fatto?

Bello andare al cinema con il cinema pieno. Non succede più. Gente come me, figli del boom degli anni ‘60, cresciuti a cineforum, terrorismo e riflusso degli anni Ottanta, e tanti ragazzi. Un film che è una botta allo stomaco, e l’ho già disinnescato dicendolo. I mai-vecchi che alla fine subito prendono distanza dicendo i vari «che recitazione perfetta – bel realismo – interessante visione apodittica – bla bla bla». I ragazzi che si sono divertiti come con un film horror qualunque, fatto bene. Sarò un po’ mitomane, ma secondo me questo film è degno di essere paragonato a Lulu di Wedekind – Pabst – Berg (autori rispettivamente del dramma, del film e dell’opera, negli anni dal 1904 al 1935, ndr). Ho subito pensato anche agli aforismi di Karl Kraus (1874-1936). La fine di un mondo che continua a ballare mentre affonda scoppiando nel suo orrido lato oscuro.

Il tema sembra essere la devianza (e perdonatemi, ma non posso non notare la citazione del celebre film di Joseph Losey quando Joker alla fine si tinge i capelli di verde – Il ragazzo dai capelli verdi, 1948). O anche il modello di personalità integrata (le psicologhe nere con pettinatura e abbigliamento perfettamente middle class che lavorano secondo protocolli fissi). O la solitudine urbana (quante narrazioni ne sono state fatte!). O l’obbligo programmatico alla felicità. O il successo. O l’uso liberalizzato delle armi e i suoi rischi drammatici. O la rabbia dei nuovi poveri contro chi detiene potere e ricchezza. O la retorica autogiustificativa dei ricchi. O l’uomo forte che si fa capopolo. Tutti questi temi ci sono, fortemente caratterizzati, tutti messi a fuoco. Nulla di nuovo in fondo. In letteratura ne ha già parlato Dostoevskij in Delitto e Castigo. Il personaggio principale è un anti-eroe con molti predecessori, e a me ne viene in mente uno strano, l’io narrante de Il lupo della Steppa di Hermann Hesse (già, Hesse non ha scritto solo Siddharta). Sull’uomo forte al potere mi piace citare La scuola dei dittatori di Silone.

La dinamica individuale e sociale rappresentata nel film esprime perfettamente il concetto centrale del saggio L’Uomo-Lupodi Robert Eisler (se non lo conoscete, oggi, con Internet e Wikipedia a disposizione, non ci sono più scuse): il masochista prova piacere nel dolore perché, traumatizzato a livelli profondi, non riesce più a sentire nulla sotto una soglia del dolore che per lui si è alzata in modo abnorme, e quindi il piacere che trae dal dolore che si fa infliggere non è relativo al dolore in sé, ma all’esperienza di poter di nuovo sentire qualcosa, e questo avviene a livello di dinamica individuale come di dinamica sociale.

La soglia della sensibilità individuale e sociale si è alzata in modo abnorme: non ci fa sufficientemente orrore sapere che in Libia ci sono campi di tortura e morte, che nel campo di Moria a Lesbo i bambini tentano il suicidio, che i barconi si rovesciano in mare e muoiono tutti. Per quell’anestesia individuale e collettiva, al cinema, di fronte a un film così, che nella finzione racconta come siamo noi e come è il nostro mondo attuale, reagiamo come riferivo nelle righe qui sopra. 

Ma io colgo una frase di Joker e un tema come centrale: lui dice, credo letteralmente «aspettavo che mi venisse un rimorso per quello che avevo fatto, ma no, non è venuto: niente!».

Qui il centro: non sente più la voce di Dio che chiede a Caino «cos’hai fatto?».

Questo rende l’idea del perché si tratti dello stesso cinismo della storia di Lulu e degli aforismi di Kraus, che descrivono un mondo che si suicida nella sua elegante indifferenza a quel che accade realmente, non sentendo nulla, anestetizzato, e quindi masochista fino all’autoannientamento, perso in se stesso, come la madre di Joker, afflitta da sindrome delirante e da narcisismo patologico, un mondo deprivato di orizzonte morale. Joker fa saltare tutte le perle della collana della moglie del Candidato ricco e forte amato da tutti, quando li uccide, e la folla in rivolta lo innalza a suo eroe, ennesima riedizione di Barabba, ma Cristo è sparito dal Golgota, perché ne manca la premessa, che risiede nella domanda a Caino.