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La memoria storica, un mezzo per ritrovare l’amore

«Andrò a ritirare il Premio. Il mio sarà un gesto di testimonianza». Ha dichiarato così, Peter Handke (1942, Griffen) il neo Premio Nobel della letteratura 2019, a un giornalista de La Repubblica. Una risposta inaspettata ma in linea con il pensiero spesso controverso e a tratti inconciliabile dell’autore. Nato in Austria, Handke – da sempre definitosi antifascista, avversario dei post-nazisti che hanno imperversato nei territori della sua giovinezza – ha iniziato a spiazzare i suoi lettori testimoniando contro la demonizzazione dei serbi. Rinnegando gli eccidi come il massacro di Srebrenica, dichiarandosi apertamente filo-serbo e partecipando al funerale di Slobodan Milošević, dove tenne un discorso funebre. Un autore di romanzi e poesie eccelso, un personaggio storico ingombrante tramite cui il Premio Nobel è riuscito ad entrare, ancora, nel dibattito pubblico, infiammandolo e riportando a galla una storia lontanissima, piena di incancellabile sofferenza umana.

Gemma ha 29 anni ed è andata a Sarajevo per una ricerca universitaria durante le olimpiadi invernali del 1984. E proprio in quell’occasione si innamora di Diego, un fotografo con problemi personali che lo trascinano fino sulle scogliere della vita, ogni volta in cui si trova in difficoltà. Una coppia bellissima in una città magica, sempre in festa e da scoprire.
Inizia così Venuto al mondo di Margareth Mazzantini (Dublino, 1961), Premio Campiello 2009 e testo da cui è stata tratta la sceneggiatura del film omonimo girato da Sergio Castellitto.
Una storia d’amore, una fiaba che si spezza in due istanti precisi e feroci che non lasciano scampo a nessuno.
Il primo è il frutto di un amore che non nasce, i cui semi non attecchiscono mai dando vita al nulla. L’infertilità, la frustrazione della ricerca di un figlio, la paura di non essere abbastanza pronti, attenti e bravi per essere genitori. Un sogno che si allontana ad ogni tentativo, trasformandosi in miraggio e dolore ostinati.
La seconda è un’immagine che arriva dalla televisione, un telegiornale dei primi anni Novanta e la notizia che la Bosnia è in guerra. E lo sono anche i posti che hanno visto nascere l’amore di Gemma e Diego, le amicizie, le poesie e le serate che immediatamente si trasformano in paura e crimine.
Venuto al mondo è un testamento a cielo aperto, ancora fresco e carico di fantasmi. Una porta spalancata su di una verità che ha respirato accanto a noi, molto più vicino di quanto abbiamo sospettato e che ha portato l’orrore nei salotti e nei discorsi. I personaggi della Mazzantini però, ognuno con il suo carico emotivo, le sue cicatrici indelebili, riescono a rimanere impressi e a impressionare; per la tenacia e la forza e per i legami indissolubili e intricati che li legano.
La storia di Gemma, di Diego, Pietro, Aska e tutti gli esseri umani sdraiati tra i capitoli, racconta di una guerra non è solo sangue e morte, bombe e sfollati. Parla di vite che sono fatte di amore e egoismo, di desiderio di poter cambiare le cose e di codardia, di come la violenza può distruggere gli organi e di come alcune scelte, a distanza di anni, possano mettere a posto la coscienza.
Un libro complesso e dolcissimo, diviso tra gli anni Novanta sbiaditi ma carichi dei ricordi meravigliosi di Gemma e i primi anni Duemila limpidi e pieni di strascichi da caricarsi su di un aereo per tornare alle origini. Il riscatto della verità e il bisogno di rincorrerla fino alla fine, fino al limite delle scogliere di Diego e di tutti gli altri.
Leggere Venuto al mondoè un’esperienza bellissima e atroce, un tuffo nella storia di un conflitto che ha segnato l’Europa e quelle distanze fragili che hanno reso l’orrore possibile da vedere, da sapere e da combattere. Con l’unica certezza che alla fine – là dove si perdono milioni di cose- non vince nessuno, resta poco dell’uomo.

Venuto al mondo, Margaret Mazzantini, Oscar Mondadori, 532 p., 12 euro