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Ahmed, un Nobel pentecostale per l’Africa

È un premio Nobel per la pace che – per una volta, sottolineano alcuni osservatori – merita il suo nome nel senso più stretto: premia davvero un vero attore di pace tra due paesi in conflitto. L’etiope Abiy Ahmed ha avviato «un’ importante iniziativa per risolvere la disputa di confine con l’Eritrea», ha dichiarato il comitato norvegese per il Nobel. Un conflitto che durava da anni dopo una terribile guerra tra i due paesi tra il 1998 e il 2000.

“Un riconoscimento ben meritato da un capo di stato che ha preso sul serio il suo dovere di agente di pace”. Così il pastore Olav Fykse Tveit ha commentato l’assegnazion del Premio Noble per la pace 2019 assegnato al primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed Ali.

Tveit ha ricordato non solo il ruolo di Ahmed nel porre formalmente fine al ventennale conflitto tra Etiopia ed Eritrea, ma anche quello esercitato dal primo ministro nella promozione dell’unità della Chiesa etiope ortodossa Tewahedo che, anche grazie a Ahmed, ha ricomposto nel 2018 uno scisma che durava da ben 27 anni. La Chiesa ortodossa Tewahedo è la più grande dell’Etiopia con oltre 38 milioni di fedeli.

Dopo essere salito al potere in Etiopia nell’aprile 2018, il giovane Primo Ministro (43 anni) ha immediatamente avviato il riavvicinamento con l’Eritrea, ex provincia etiopica. Alcuni mesi dopo, il 9 luglio, Abiy Ahmed ha incontrato il presidente dell’Eritrea Issaias Afeworki nella sua capitale, Asmara, per porre fine allo stato di guerra. Non appena è stato raggiunto l’accordo, le ambasciate sono state riaperte, i collegamenti aerei sono stati ristabiliti, le famiglie si sono incontrate e le riunioni pubbliche si sono tenute per la prima volta da due decenni a questa parte. Da allora, questo vero vento di speranza ha lasciato il posto alla frustrazione: il confine è ancora chiuso e l’Etiopia, che è un paese senza sbocco sul mare, non ha ancora accesso ai porti eritrei – una delle poste in gioco del conflitto. La vera pace non si è ancora stabilita, anche se è sulla buona strada. Quindi è anche un incoraggiamento che il comitato per il Nobel ha voluto inviare ai due paesi, in modo che possano continuare i loro sforzi, e non solo evidenziare Abiy Ahmed e il suo lavoro per la riconciliazione. Inoltre, «tutti gli attori che lavorano per la pace e la riconciliazione in Etiopia e nelle regioni dell’Africa orientale e nordorientale» sono associati al premio.

È anche un incoraggiamento che il Comitato ha voluto inviare ad entrambi i paesi.

Gli sforzi di Abiy per la riconciliazione non riguardano solo il conflitto con l’Eritrea, ma anche la situazione di conflitto tra comunità all’interno del suo paese. Rompendo con i metodi brutali del suo predecessore, Haile Mariam Dessalegn, ha creato una commissione di riconciliazione nazionale, liberato centinaia di prigionieri politici e firmato accordi con gruppi ribelli, incluso il Fronte popolare di liberazione di Oromo (FLO), secessionista e armato, che ha combattuto contro il potere centrale dagli anni ’70. E’ membro di un partito politico che rappresenta gli interessi del più numeroso gruppo etnico, gli Omoro, che è anche fra i più discriminati, e ha moltiplicato i gesti di pace verso altre etnie diverse dalla sua e nei confronti dei partiti di opposizione che erano precedentemente fuorilegge. Il suo obiettivo è tenere elezioni democratiche nel maggio 2020 e ha nominato uno dei leader dell’opposizione, Birtukan Mideksa, a capo della commissione elettorale.

Un’altra iniziativa spettacolare: Abiy ha stabilito un rigoroso equilibrio di genere nel suo governo. E diversi ministeri chiave sono stati affidati alle donne, tra cui Difesa e Interno. La Corte Suprema è presieduta dalla famosa avvocata e attivista per i diritti umani Meaza Ashenafi. Inoltre, il paese ha un presidente donna: Salhe-Work Zewde.

Il percorso personale di Abiy Ahmed è molto particolare. Ex ufficiale dell’esercito e oppositore di lunga data dell’ex regime marxista-leninista, proviene da una famiglia povera. Suo padre era un musulmano del gruppo etnico Omoro, sua madre di fede cristiana ortodossa del gruppo etnico Amhara. Più precisamente, è il tredicesimo figlio di suo padre che aveva diverse mogli e il sesto figlio di sua madre. Lui stesso ha sposato un amhara cristiana incontrata quando erano entrambi nell’esercito etiope.

E’ stato a lungo un cristiano ortodosso, come sua madre, ma si è convertito al pentecostalismo. È un membro molto attivo della Full Gospel Believers Church, una comunità pentecostale etiope, fondata nel 1967 e che conta circa quattro milioni e mezzo di fedeli nel Paese. Una fede poco espressa in pubblico, insistendo sulla sua determinazione a essere il primo ministro di tutti i suoi compatrioti. La sua testimonianza cristiana è particolarmente concreta, attraverso il lavoro per la pace, compresa la creazione di una commissione di riconciliazione e il rilascio di prigionieri politici. È anche noto per i suoi fermi messaggi ai cristiani, compresi gli evangelici, che invitano ad assumersi le proprie responsabilità nei conflitti etnici. Ha anche incontrato Papa Francesco il 21 gennaio, che si è congratulato con lui per il suo lavoro per la pace. Un incontro in cui è stato sottolineato «il ruolo del cristianesimo nella storia del popolo etiope» e «il contributo delle istituzioni cattoliche nei settori dell’educazione e della salute».

Se non insiste molto sulla sua fede, il nome di Abiy Ahmed è ben noto nei circoli pentecostali in Europa. Ad esempio, in Svezia, dove molti missionari lo conoscono, e oggi testimoniano nella rivista di riferimento evangelica Dagen il loro orgoglio nel vedere «uno dei loro» ricevere una delle onorificenze più prestigiose. Questo è il secondo anno consecutivo che il premio Nobel è stato assegnato a un pentecostale africano.

Nel 2018, fu infatti il ginecologo congolese Denis Mukwege a distinguersi – ha condiviso il premio con la Yazidi Nadia Murad, ex schiava di Daesh – per la sua lotta contro la violenza sessuale come arma di guerra. Il Comitato Nobel norvegese ovviamente non tiene conto dell’affiliazione religiosa delle persone che onora, il che rende le sue scelte ancora più interessanti negli ultimi due anni, perché testimoniano il ruolo positivo che il Pentecostalismo può avere in Africa e altrove, mentre questa corrente cristiana è spesso criticata per il suo proselitismo espansionista. In ogni caso, Abiy Ahmed e Denis Mukwege restituiscono un’immagine chiaramente positiva del cristianesimo contemporaneo in Africa.