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Ponti per attraversare il ricordo

A nulla è servito l’intervento tempestivo della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza. «L’imbarcazione non era in condizioni di affrontare la traversata. Nessuno a bordo sembra avesse strumenti di soccorso individuali e in questi casi un salvagente ti salva la vita», ha dichiarato Salvatore Vella, il procuratore aggiunto di Agrigento che insieme ad altri colleghi ha coordinato le indagini e le ricerche a seguito dell’ennesima strage avvenuta sulle coste italiane.

Lampedusa, 7 ottobre, 3 del mattino. Il meteo è sfavorevole, il barchino coinvolto nella traversata più battuta di Tunisia-Lampedusa non può trasportare 50 persone. Sono gli stessi “passeggeri” a chiamare i soccorsi nel momento più critico. Uomini ma soprattutto donne provenienti dalla Tunisia e dall’Africa Subsahariana.
Il naufragio è avvenuto a poche miglia dalle coste di Lampedusa. Le motovedette hanno recuperato 13 corpi, tutte donne, tutte ragazze di cui una incinta e una di appena 12 anni. 22 è il numero di persone che si sono salvate, tra loro altre donne, altri bambini.
Le morti nel Mediterraneo, i superstiti, i racconti di chi ce l’ha fatta ma ha assistito a scene atroci e indelebili, l’indignazione dell’Europa, le promesse degli Stati membri e le parole sparse, sui giornali, insieme alle fotografie che ormai si riconoscno a colpo d’occhio. E si saltano, quasi a scansarle, mormorando “ancora un’altra tragedia?”.

La data del 3 ottobre 2013 si è trasformata in un segno rosso sul calendario dell’Unione Europea. 368 uomini, donne e bambini persero la vita al largo di Lampedusa. Un ricordo che ha segnato per sempre l’opinione pubblica mondiale e ha stravolto l’immagine del crimine più esposto del nostro secolo. Accendere la televisione in quei giorni era sinonimo di vulnerabilità. Di incapacità emotiva personale e collettiva ad assistere alla distesa infinita di bare, impossibili da scansare. I superstiti furono 155 sulle 500 persone che viaggiavano sul barcone. La peggiore strage di esseri umani nelle acque del Mediterraneo.

A sei anni di distanza, il Comune di Torino, ha deciso di commemorare questa data con un’azione significativa: intitolare un ponte pedonale alle “Vittime dell’Immigrazione”. Inaugurato la mattina di mercoledì 9 ottobre, costruito nel collegamento tra via Livorno e corso Mortara, la nuova area è stato accolta da una folla raccolta di attivisti, personalità politiche e realtà associazionistiche del capoluogo. Una comunità intera che ha spronato con impegno e sensibilità il Comune affinché accettasse la richiesta di convincere l’amministrazione a dedicare uno spazio pubblico al ricordo della realtà migratoria.
Un momento curato e sentito in cui, nell’area pedonale anch’essa dedicata alla Memoria Nazionale delle vittime del 3 ottobre, sono stati ricordati gli attimi e le battaglie conseguenti a una delle tragedie più imponenti degli anni Dieci.

La scelta del ponte è risultata casuale, ma a rifletterci è una coincidenza che sa di speranza, che porta con sé uno spiraglio di luce e una «contrapposizione con i muri creati da chi ha paura del diverso», spiega Andrea Sacco, il primo firmatario di una petizione per sensibilizzare la toponomastica della città. Ponti che non possono essere scansati, ma solo attraversati.