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Una nuova emergenza in Siria

Con l’attacco aereo e via terra avviato dalla Turchia nel nord-est della Siria si è aperto un nuovo capitolo nel conflitto siriano, in corso ormai dal 2011. In particolare, questa volta l’obiettivo è la fascia controllata dai curdi, considerati terroristi da Ankara e supportati, fino a pochi giorni fa, dagli Stati Uniti, che hanno deciso invece di non opporsi all’operazione turca. Questa mattina, in una delle poche pause negli interventi d’urgenza, è stato possibile metterci in contatto con il dottor Sherwan Bery, co-presidente di Heyva Sor a Kurd, la Mezzaluna rossa curda della Federazione della Siria del Nord.

Qual è la situazione umanitaria in questo momento e quante persone sono coinvolte?

«Da ieri alle 16 l’esercito turco ha iniziato a colpire principalmente l’area tra Ras al-Ain e Tel Abyad con missili e attacchi aerei anche in molte aree civili. Le Forze Democratiche Siriane sono intervenute contro quell’attacco e a quel punto sono cominciati gli scontri. Non solo nell’area di Ras al-Ain e Tel Abyad, ma in tutto il confine che è lungo centinaia di chilometri, sono in corso scontri, con bombardamenti da entrambe le parti. Per noi e per la situazione umanitaria le cose stanno peggiorando, perché molte persone stanno fuggendo da ieri dalla zona, in particolare da Ras al-Ain e Tel Abyad, lasciando le loro case e andando a sud, dai loro parenti e in città come Raqqa e Al Hasakah. In generale, la situazione umanitaria e la risposta che stiamo dando come Mezzaluna Rossa curda è di tipo emergenziale, ci stiamo concentrando sulle vite in pericolo. Ma in futuro, se questa crisi dovesse continuare, penso che avremo più problemi, sia per trovare rifugi sicuri, sia per il cibo e per molti altri aspetti».

Facciamo un passo oltre: quali sono le principali preoccupazioni in prospettiva? Dove può arrivare questo attacco?

«Non sappiamo davvero quale sia l’obiettivo della Turchia, ma questo attacco non è legale e mi permetto di dire neppure morale, perché si stanno portando persone diverse da altre aree della Siria in alcune aree del nord-est della Siria e questo crea un cambiamento demografico nell’area, che è controllata dal Consiglio Democratico Siriano e dalle Forze Democratiche Siriane che rappresentano gli abitanti del nord-est della Siria».

Cosa può accadere ai civili?

«Abbiamo già perso almeno cinque civili da ieri, registrati dalla Mezzaluna curda attraverso le nostre ambulanze, i punti di stabilizzazione del trauma e gli ospedali. Ma ora pensiamo che ne registreremo di più, perché a partire da questa mattina e fino ad ora gli scontri sono cresciuti sempre più, con sempre più attacchi aerei, soprattutto a Ras al-Ain, Sari Kani e Tel Abyad. Proprio ora c’era una delegazione di civili delle tribù arabe e delle tribù curde che avrebbero dato supporto ai combattenti di Tel Abyad, e abbiamo saputo che anche questo convoglio è stato preso di mira dai militari turchi, in modo che i civili possano trovarsi in una situazione molto grave». 

Nell’area è presente un altissimo numero di sfollati interni. Ci sono preoccupazioni anche in questo senso?

«I campi profughi sono molti di più rispetto ai sette campi ufficiali, e contengono migliaia di persone. Nel campo di Al Hol, da solo, ci sono oltre 70.000 sfollati interni e rifugiati. Più di 10.000 di loro sono ex famiglie ISIS, quindi hanno la stessa ideologia e sono ben collegati con alcune cellule nelle zone circostanti. Ieri erano in qualche modo felici dell’attacco e questo ha provocato un qualche tipo di conflitto. Purtroppo per noi, per la Mezzaluna rossa curda, abbiamo dovuto ridurre la nostra capacità nei campi per motivi di sicurezza e, per rispondere alla situazione al confine che si è aggravata, abbiamo spostato alcuni dei nostri team per supportare i civili in pericolo. Questo vale anche per le ONG, penso che abbiano già un’accessibilità limitata ai campi, e questo crea ulteriori problemi. Abbiamo quasi 100.000 persone in questi campi tutto intorno e molti di questi campi ospitano ex famiglie ISIS, come Ein Issa, il campo di Roj e il campo di Al Hol. Finora non sappiamo cosa accadrà. Non abbiamo uno scenario nella nostra mente. Ma tutto è collegato: è stato sorprendente per noi il fatto che ieri sera l’esercito turco abbia preso di mira due strani obiettivi, entrambi a Qamishlo. Uno di questi era il principale quartiere cristiano, dove sono morti due civili civili cristiani, e questo segna un attacco a tutte le minoranze. L’altra cosa era che stavano prendendo di mira la prigione principale di Qamishlo, che contiene prigionieri dell’ISIS. Per quei bersagli era qualcosa di strano per noi. E ieri a Qamishlo sono state uccise tre persone».

Da qui, dall’Europa, la sensazione principale quando abbiamo visto che gli Stati Uniti hanno deciso di non opporsi all’invasione turca del nord-est della Siria è stato lo choc. Ma guardando dal vostro punto di vista, quali sono i sentimenti principali? Ci si sente in qualche modo abbandonati?

«Sì, prima di tutto come persone, anche se noi cittadini curdi siamo in generale molto indipendenti. Ma come gente del posto so come ci si sente, ricevo messaggi da chi vive qui. La sensazione di stupore è grande, molti si fidavano dei militari, ma è chiaro che la politica e la decisione degli Stati Uniti ci tolgono fiducia. Questo è il sentimento prevalente, e le persone sono scioccate. Penso che non sia giusto per quelle persone, perché i cittadini della Siria del nord hanno pagato con più di 11.000 combattenti uccisi la lotta per sconfiggere il terrorismo internazionale, e ora si stanno aprendo le porte al principale nemico, dicendogli “puoi riprendere la tua offensiva e finire quelle persone”. Ora il popolo e i politici della Siria settentrionale stanno chiedendo una no-fly zone sulla Siria del nord, aspetteremo il Consiglio di sicurezza anche se non ci sono grandi aspettative. Spero che possano fermare in qualche modo questo attacco, perché ad Afrin abbiamo affrontato la stessa crisi senza alcuna risposta da parte della comunità internazionale. E la Turchia lì ha fatto lo stesso, e anche di più, uccidendo civili, prendendo di mira le infrastrutture davanti agli occhi di tutto il mondo. Ora stanno usando la carta dei rifugiati di fronte all’Europa dopo che l’accordo del 2016 si è in qualche modo concluso. Quindi la Turchia ha quella carta da usare contro l’Europa, e questo potrebbe fornire loro uno strumento di potere per portare avanti i loro piani nella Siria del Nord».
 

Sul sito buonacausa.org è possibile sostenere l’intervento umanitario della Mezzaluna rossa curda siriana attraverso la propria sede italiana.