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Ex Emergo: un arazzo di memoria collettiva

“Ex-Emergo/Emergenza” è il titolo dell’opera artistica, frutto di un laboratorio a cui hanno partecipato i residenti della Casa delle Culture di Scicli (Sicilia). Molti di loro sono arrivati tramite i corridoi umanitari, hanno storie difficili da raccontare, che non riescono a uscire solo con la voce.

Monica Simeoni, artista terapista, ha seguito un laboratorio che ha portato alla luce questi racconti utilizzando canali comunicativi non verbali.

Che percorso artistico ha proposto alla Casa delle Culture?
«Si trattava di un progetto di terapeutica artistica. Una modalità di lavoro simile all’arteterapia, in cui il mezzo artistico è utilizzato come linguaggio. Questo permette di approfondire un vocabolario sentimentale che sarebbe impossibile tradurre con le parole. Le famiglie che hanno collaborato sono siriane e alcuni di loro non parlano italiano e nemmeno inglese. Abbiamo trovato il modo di raccontare le loro storie superando le barriere dell’approccio verbale».

Come sovente accade alcune arti come la musica, il disegno, superano le barriere. Che tecnica avete utilizzato?
«Il cucito. Può sembrare di retaggio un po’ vecchio, tipico della dimensione familiare, ma in realtà è un lavoro molto coinvolgente. Il cucito rappresenta la metafora della relazione: questo entrare e uscire con un tempo molto personale, assomiglia alle relazioni umane. Il progetto è durato quasi due mesi, da agosto a settembre, e nell’arco di questo periodo il gruppo si è rafforzato, si sono creati dei legami umani molto intensi e questo era uno degli obiettivi principali. Riuscire a trovare una dimensione così coesa nel gruppo fa in modo che il singolo non si senta più da solo, ma trovi forza nell’unità con tutti gli altri».

Il progetto era pensato solo per gli ospiti della Casa?
«Era pensato sia per gli ospiti della struttura che per la comunità. Nonostante le reticenze che ci possono ancora essere rispetto a questo tipo di progetti, grazie al lavoro di sensibilizzazione fatto dalla Casa delle Culture ora c’è una maggiore sensibilità sul territorio e un bel dialogo con la comunità esterna. Alcune persone hanno partecipato, soprattutto giovani e giovanissimi e la loro presenza è stata fondamentale e arricchente».

Il titolo di questo grande arazzo è Ex-Emergo. Cosa significa?
«L’idea del progetto era partita proprio da questa parola “emergenza” che continuava ad essere ripetuta. Come terapista mi chiedevo come far fronte a questa “emergenza”, come poter trasformare questa prospettiva. Ho scoperto che la radice latina della parola emergenza significa “stare a galla” e ho provato a tradurre questo concetto in ambito artistico».

Che materiali avete usato?
«Un materiale tipico della terra che ci ha ospitato, anche come segno di rispetto al posto che ci ha ospitato. L’arazzo è realizzato con sacchi di materiale plastico molto resistente, che vengono utilizzati per trasportare semi. Metaforicamente i semi sono simbolo della vita. Quando i sacchi sono troppo lisi vengono buttati, ma noi li abbiamo riconvertiti in narrazioni. Ognuno dei partecipanti ha cucito sopra, lasciando fluire i pensieri, delle linee, che potessero tradurre le storie o i sentimenti personali. Tutti questi pezzi, quando sono stati uniti sono diventati un puzzle che racconta una storia collettiva, che trova il suo senso in questa narrazione condivisa. La storia di uno diventa la storia di tutti.
Infine abbiamo cucito i desideri, le emozioni che vogliamo destinare al futuro, sigillandole ritualmente in piccole finestrelle colorate di blu».

Questo enorme arazzo, grande alla fine quasi 10 metri quadri, ha trovato posto su una parete della Casa delle Culture. Rimarrà esposto fino alla fine di novembre, dopodichè, probabilmente, partirà per una piccola tournée.