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Simboli religiosi e antichi fantasmi

Ogni volta che si apre il dibattito sull’utilizzo di simboli religiosi negli spazi pubblici riemerge il vecchio discorso sull’opportunità o meno dell’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. Si ripete puntualmente lo stesso meccanismo: chi solleva il tema della laicità dello Stato e promuove pertanto la collocazione dei simboli religiosi “a casa loro”, nei luoghi di culto o comunque in ambito privato e non pubblico, subisce la gogna mediatica degli esponenti politici di tutti i partiti e movimenti, oltre che delle gerarchie cattoliche. Se poi si azzarda a portare come esempio di violazione del principio supremo della laicità la presenza del crocifisso a scuola, allora offre ulteriormente il fianco alle critiche, forti della sentenza con cui la Grande Camera della Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) ha assolto nel 2011 l’Italia dall’accusa di violazione dei diritti umani per l’esposizione del crocifisso nelle aule, declassando il simbolo a semplice complemento d’arredo. Questa è la sorte toccata al ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti che ha pensato bene di affrontare l’argomento nel corso di una trasmissione radiofonica, senza riflettere, forse, sul dare così il via alle solite strumentalizzazioni, polarizzando l’attenzione su falsi problemi ed evitando così analisi approfondite sul tema. 

Fioramonti ha riportato in vita fantasmi di tempi antichi sempre pronti a riaffiorare nella rivendicazione di un’Europa bianca e cristiana, nelle “crociate” striscianti nei sobborghi delle ideologie conservatrici. Ogni diritto ostacolato nel nome dell’imposizione su altri delle proprie credenze e norme comportamentali dovrebbe farci riflettere: invece assistiamo indifferenti a comportamenti che tentano di legittimare privilegi, tentativi che spesso raggiungono l’obiettivo come nel caso della presenza dell’insegnamento religioso confessionale facoltativo nell’orario curricolare delle scuole statali. 

Noncuranti del dettato costituzionale, politici di destra e sinistra, passando per il centro, riscoprono oggi le proprie radici cristiane e rimarcano la necessità di difenderle. Nessuno si cura della pericolosa abitudine a convivere con una “monarchia assoluta” quale quella del Vaticano, ispiratrice dell’idea di “famiglia naturale” e di quell’idea di privilegio confessionale, di stirpe e di razza cui dovremmo opporci, forti proprio del principio supremo della laicità, in nome della libertà di pensiero, di coscienza e, non ultimo, dell’impoverimento delle casse dello Stato. Perché l’ingiustizia non è solo nel dover sopportare un insegnante di religione cattolica scelto di concerto con un vescovo, ma anche nel fatto che lo si debba pagare coi soldi di tutti i cittadini.

Assistiamo da anni al ripetersi delle medesime discussioni sulla laicità della scuola che non portano nessuna soluzione ai problemi quotidiani di chi non si avvale dell’insegnamento religioso confessionale, atteggiamento che denota la scarsissima attenzione dei politici verso il fatto religioso laddove non sia strettamente legato all’appartenenza cattolica o non si presti a facili strumentalizzazioni legate alla paura dell’Altro, dello straniero, del “diverso”.

Immersi nell’ipocrisia, non ci resta che scegliere tra chi non cambia nulla, facendo finta di voler cambiare tutto, e chi vorrebbe ritornare ai tempi di Bonifacio VIII…