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«Non è mai troppo tardi per leggere Nuto Revelli»

Luigi Bonanate ha parafrasato il titolo della prima opera dell’autore cuneese, Mai tardi,  per rivolgere un invito a tutti durante il convegno internazionale di Cuneo di sabato 5 e domenica 6 ottobre che ha ricordato i cento anni dalla nascita di Nuto Revelli, giovane del ventennio che ha combattuto sui fronti italiani della Seconda Guerra mondiale per poi tornare, irrimediabilmente segnato nell’animo e nel corpo dalla disastrosa campagna di Russia. Ed è proprio nella ritirata terribile e per certi versi incredibile che secondo Ezio Mauro «in Revelli nasce la frattura che si porterà dietro per tutta la vita, quella che divide il mondo fra “in alto” e “in basso”. In alto i generali, i gerarchi, gli imboscati; in basso gli ultimi, gli umili, i poveri, i contandini». 

Revelli, come Mario Rigoni Stern, torna in Italia con poche decine di commilitoni e scopre che tutto è taciuto; le incapacità e le incoscienze di chi comanda sono sommerse dalla censura fascista. Cresce in lui la consapevolezza che bisogna fare qualcosa e il punto di svolta, vissuto tragicamente, è l’8 settembre 1943. Lui, militare uscito poche decine di mesi prima dall’accademia di Modena con i gradi sulle spalle, si ritrova davanti a una scelta difficile: disobbedire al giuramento. Farà la scelta giusta (dettata come lui stesso ammise anche in parte dal caso o dal destino) e nasce così la storia di un uomo che saprà guidare le formazioni partigiane nella lotta all’invasore, sotto la guida politica di Dante Livio Bianco salendo con i primi combattenti per la libertà a Paraloup, nel comune di Rittana. 

Sono stati davvero molti gli interventi che hanno raccontato sotto molti punti di vista la figura di Revelli: dalle testimonianze dirette di chi l’ha conosciuto di persona a chi invece si è formato sulle sue opere. Opere che sono state messe in stretta relazione con il già citato Rigoni Stern e con Primo Levi (quasi tutti e tre coetanei) a formare una sorta di triade di autori “manuali” (nel senso di “operai”, di autori che non sapevano di esserlo ma hanno prestato la loro opera necessaria perché si ricordasse e non si dimenticasse. Hanno raccolto storie orali (spesso bistrattate dagli ambienti accademici) per creare un “impegno del dopo” condividendo una matrice comune. 

Dopo il partigianato, vetta autobiografica per Revelli, inizia un lungo e certosino lavoro di ricerca, di raccolta, per dare voce agli ultimi, ai poveri (Il mondo dei vinti. Testimonianze di vita contadina e il precedente L’anello forte). Persone che non si riconoscono in una classe e quindi non vengono in nessun modo riconosciute dallo Stato, se non come manodopera in tempo di pace e carne da cannone in tempo di guerra. «Perché non vi siete ribellati» è la domanda che si poneva Revelli e che tutti si pongono leggendo i suoi libri. «Perché dalla povertà non si esce con i proiettili, ma con una lunga presa di coscienza» è stato più volte ripetuto durante il convegno. 

Il percorso di vita di Revelli è approdato poi alle ultime opere fra cui Il prete giusto Il disperso di Marburg, storie che «trasmettono il passato riuscendo a emozionare e raccontare» come ha ricordato Giovanni De Luna . Proprio quest’ultimo è una storia incredibile, che racconta di un tedesco “buono”, dopo le parole di odio rivolte verso l’alleato prima e l’invasore poi. Il “disperso” diventa un altro capo saldo della letteratura di Revelli, in cui emerge tutta l’assurdità della guerra.

Come ricordato da Ada Cavazzani «Revelli è ancora attuale e ci aiuta a comprendere l’oggi e le dinamiche del mondo in cui viviamo» perché come ha detto Mauro chiudendo il suo intervento «Dalla battaglia per la libertà non c’è congedo».