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Dipendenti da Dio, indipendenti da tutto

In Dio ho fiducia e non temerò; che potrà farmi l’uomo?
Salmo 56, 11

Paolo scrive: «Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica»
Filippesi 4, 13

Tempo fa, uno dei tanti auguri di “Buongiorno” con i quali assillo quotidianamente i miei amici tramite WhatsApp, conteneva questa frase: «La felicità non è avere tutto, ma apprezzare quel che si ha»; si tratta di una cosa ovvia, persino banale, eppure è profondamente vera.

Ad alcuni viene naturale accettare la propria situazione, per quanto umile e modesta; ad altri occorre tempo per imparare a far buon viso anche a cattiva sorte; altri ancora non vi riusciranno mai: perennemente insoddisfatti del presente, sempre contrariati e alla ricerca di qualcosa di meglio.

L’apostolo Paolo aveva appreso come il vivere in Cristo fosse l’unica cosa realmente necessaria: attraverso questa comunione era in grado di far fronte a ogni situazione; la cosa interessante, tuttavia, è che egli non lo affermava riguardo a problemi spirituali quali il dubbio, la tentazione o l’orgoglio, ma a proposito di una cosa materiale quant’altre mai come il denaro. Aveva ricevuto un dono dai Filippesi, cosa gradita e ben accetta: un ulteriore prova del loro affetto per lui e della loro fede in Cristo; ma i Filippesi, essendo a conoscenza delle sue ristrettezze, non dovevano sentirsi in obbligo di sostenerlo; Paolo, infatti, aveva imparato ad accontentarsi dello stato in cui si trovava (Fil. 4, 11) – sbaglieremmo a considerarla una semplice rassegnazione.

La forza che lo sosteneva era la potenza della risurrezione di Cristo: nella comunione con lui, e nel sentimento di assoluta dipendenza da Dio, egli aveva trovato la capacità di essere totalmente autosufficiente in ogni cosa, materiale e spirituale; altri credenti, nel corso dei secoli, hanno pronunciato parole simili: dipendenti da Dio e, proprio per questo, indipendenti da tutto; è un paradosso: uno dei tanti paradossi della grazia, ma è vero; e questo è ciò che conta.