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Dopo Mugabe: incertezze e speranze

Munorwei Chirovamavi è pastore della Tafara Baptist Church di Harare (Zimbabwe), che partecipa alla partnership che l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi) ha siglato nel 2006 con la Baptist Convention of Zimbabwe. Nato nel 1974 nel distretto di Mberengwa, nella regione delle Midlands dello Zimbabwe, il past. Muno – come affettuosamente viene chiamato – è laureato all’Università del Sudafrica e all’Università dello Zimbabwe, in teologia, studi religiosi e studi sui media e sulla comunicazione. È professore incaricato presso il Domboshawa Theological College di Harare, ed è direttore esecutivo di un ministero rivolto a minori disabili chiamato To Love a Child Zimbabwe. A lui abbiamo rivolto alcune domande.

Il 6 settembre l’ex presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe è morto. Qual è la sua eredità?

«La morte di Mugabe, che ha governato lo Zimbabwe per quasi quattro decenni dopo una lunga lotta armata contro l’ex potenza coloniale Gran Bretagna, è stata accompagnata da polemiche, tante quante hanno caratterizzato la sua carriera politica. L’eredità di questo leader, che ha governato per 37 anni prima di essere costretto a lasciare l’incarico, è stata macchiata da numerosi errori. Mugabe rimane famoso per la morte di migliaia di persone innocenti negli anni ‘80 durante i massacri di Gukurahundi. Questo evento è un capitolo non ancora chiuso nella mente di quanti furono coinvolti in quell’oscuro episodio. Gli ultimi due decenni, poi, hanno visto un’intolleranza sfrenata verso l’opposizione politica sia interna che esterna al suo partito e al governo. Anche se Mugabe è stato un campione di alcuni ideali nobili come l’educazione per tutti, l’accesso all’assistenza sanitaria per tutti e una fervida agenda panafricana, tutto ciò è stato macchiato dagli errori politici e dai problemi economici che ne sono derivati».

Anche con il suo successore, Emmerson Mnangagwa, le cose non sembrano cambiate: le proteste contro la recessione economica, la povertà e la corruzione continuano…

«L’attuale situazione dello Zimbabwe è disastrosa. Gli ospedali pubblici hanno chiuso le porte alla gente e nelle scorse settimane i medici sono scesi in strada per protestare a favore di Peter Magombeyi, un dottore che è stato rapito. Si dice che sia stato trovato vivo, ma le circostanze che circondano questo evento rimangono un mistero. Qualunque siano le speculazioni, l’intera vicenda ha portato alla morte di molti che volevano accedere all’assistenza sanitaria in un sistema già inaccessibile. Una situazione già difficile è adesso peggiorata».

È possibile una ripresa economica e in che modo?

«Viviamo in un paese in cui i beni di prima necessità come cibo, casa e acqua scarseggiano. I negozi dei villaggi stanno chiudendo perché non è più possibile rifornirli di merci, il denaro ha perso valore e continua a perderlo ogni giorno. Le persone nelle aree urbane e rurali trascorrono almeno mezza giornata alla ricerca di almeno 20 litri di acqua potabile da attingere in alcuni pozzi in aree sovrappopolate. I farmaci scarseggiano e sono fuori dalla portata della gente comune. Sopravviviamo in un paese in cui è difficile prelevare denaro depositato in quelle che una volta erano banche affidabili. In questa situazione, l’attuale governo non è in grado di dare soluzioni che rispondano alla sofferenza della popolazione.

Però, sono convinto che una significativa ripresa economica sia possibile. Lo Zimbabwe è ricco di minerali, di terra produttiva e di risorse umane all’interno e all’esterno del paese. È necessario che il governo e tutte le parti interessate si impegnino a combattere con fermezza la corruzione, a promuovere una cultura della responsabilità e a cercare di superare la polarizzazione politica ereditata da Mugabe. Ci vorrà senza dubbio del tempo perché coloro che si arricchiscono a spese degli altri non sono disposti a farsi da parte. Ma arriva un momento in cui le persone dicono “quando è troppo è troppo”. Se non noi, allora chi? Se non ora, quando? Chi immaginava che avremmo parlato dell’era Mugabe al passato? Noi confidiamo che Dio non è indifferente».