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Violenza e impunità alimentano la deforestazione nell’Amazzonia

La deforestazione nell’Amazzonia brasiliana è compiuta in gran parte da reti criminali che usano violenza e intimidazione contro coloro che cercano di difendere la foresta pluviale. Ad affermarlo è Human Rights Watch – l’organizzazione non governativa che si occupa della difesa dei diritti umani–in un rapporto pubblicato il 17 settembre scorso dal titolo: «Mafie della foresta pluviale: come la violenza e l’impunità alimentano la deforestazione nell’Amazzonia brasiliana».

Il rapporto di 165 pagine documenta come il disboscamento illegale da parte di reti criminali e i conseguenti incendi boschivi siano collegati non solo ad atti di violenza e intimidazione contro i difensori delle foreste ma anche all’incapacità dello stato di indagare e perseguire questi crimini.

«I brasiliani che difendono l’Amazzonia stanno affrontando minacce e attacchi da parte di reti criminali impegnate nel disboscamento illegale», ha dichiarato Daniel Wilkinson, direttore per l’ambiente e i diritti umani di Human Right Watch. «La situazione sta solo peggiorando sotto il presidente Bolsonaro, il cui assalto alle locali agenzie che si occupano di ambiente sta mettendo in grave pericolo la foresta pluviale e le persone che vivono lì».

Human Rights Watch ha intervistato più di 170 persone: oltre a una sessantina di membri di comunità indigene e altri residenti locali negli stati di Maranhão, Pará e Rondônia, i ricercatori hanno raccolto le testimonianze di dozzine di funzionari governativi a Brasilia e in tutta la regione amazzonica, e i resoconti di come le politiche del presidente Jair Bolsonaro stiano minando gli sforzi di contrasto.

Durante il suo primo anno in carica, Bolsonaro ha ridimensionato l’applicazione delle leggi ambientali, ha indebolito le agenzie federali che si occupano di ambiente e ha criticato duramente le organizzazioni e i singoli che lavorano per preservare la foresta pluviale.

Il rapporto fornisce i dati compilati dalla Pastoral Land Commission(CPT, in Portoghese), un’organizzazione senza scopo di lucro, e citata dalla Procura Generale, secondo cui sono state più di 300 le persone uccise nell’ultimo decennio nel contesto di conflitti sull’uso della terra e delle risorse in Amazzonia.

Human Rights Watch ha documentato, in relazione agli ultimi cinque anni, 28 omicidi, oltre a 4 tentativi di omicidio e oltre 40 casi di minacce di morte. La maggior parte delle vittime sono membri di comunità indigene o altri residenti nelle foreste che denunciavano alle autorità il disboscamento illegale. Tra i casi documentati quello di Gilson Temponi, presidente di un’associazione di agricoltori a Placas, nello stato del Pará, che aveva riferito ai pubblici ministeri nel 2018 del disboscamento illegale e delle minacce di morte ricevute dai taglialegna. Nel dicembre di quell’anno, due uomini bussarono alla sua porta e gli spararono a morte. O anche il caso di Eusebio Ka’apor, leader del popolo Ka’apor che ha aiutato ad organizzare pattuglie forestali per impedire ai taglialegna di entrare nel territorio indigeno dell’Alto Turiaçu nello stato di Maranhão, ucciso nel 2015. Poco dopo la sua morte, sei dei sette membri del Consiglio direttivo del Ka’apor, che coordina le pattuglie, hanno ricevuto minacce di morte dai taglialegna.

Purtroppo i responsabili della violenza vengono raramente consegnati alla giustizia. Degli oltre 300 omicidi registrati da CPT, solo 14 alla fine sono stati processati; delle 28 uccisioni documentate da Human Rights Watch, solo due sono state processate; e degli oltre 40 casi o minacce, nulla è stato fatto.

Questa mancanza di responsabilità è in gran parte dovuta al fallimento da parte della polizia di condurre indagini adeguate. La polizia locale si giustifica dicendo che le uccisioni hanno luogo in aree remote, in realtà Human Rights Watch ha documentato omissioni eclatanti nelle indagini su alcuni omicidi avvenuti in città, non lontano dalle stazioni di polizia.

Le indagini sulle minacce di morte non vanno meglio: i funzionari in alcune località si rifiutano di registrare anche le denunce delle minacce. In almeno 19 dei 28 omicidi documentati, le minacce contro le vittime o le loro comunità hanno preceduto gli attacchi. Se le autorità avessero indagato, gli omicidi forse sarebbero stati evitati.

Le comunità indigene e altri residenti locali hanno da tempo svolto un ruolo importante negli sforzi del Brasile per frenare la deforestazione avvisando le autorità di attività illegali di disboscamento che altrimenti potrebbero non essere rilevate. 

Dal 2004, il Brasile ha un programma per proteggere i diritti umani e i difensori dell’ambiente, ma i funzionari governativi intervistati concordano sul fatto che il programma fornisce una protezione poco significativa.

Durante i primi otto mesi di mandato di Bolsonaro, la deforestazione è quasi raddoppiata rispetto allo stesso periodo del 2018, secondo i dati ufficiali preliminari. Ad agosto 2019, gli incendi boschivi legati alla deforestazione hanno devastato l’Amazzonia con una percentuale che non si vedeva dal 2010.

L’Amazzonia, essendo la più grande foresta pluviale tropicale del mondo, svolge un ruolo vitale nel mitigare i cambiamenti climatici assorbendo e immagazzinando anidride carbonica. Se tagliata o bruciata, la foresta non solo cessa di adempiere a questa funzione, ma rilascia anche nell’atmosfera l’anidride carbonica che aveva precedentemente immagazzinato. «L’impatto degli attacchi ai difensori forestali del Brasile si estende ben oltre l’Amazzonia», ha detto Daniel Wilkinson. «Fino a quando il Paese non affronterà la violenza e l’illegalità che facilitano il disboscamento illegale, la distruzione della più grande foresta pluviale del mondo continuerà senza controllo».