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Quando l’informazione distrugge il pianeta

Le parole profetiche di Greta e l’onda verde

«Non possiamo risolvere una crisi se non la trattiamo come tale: dobbiamo lasciare i combustibili fossili sottoterra e dobbiamo focalizzarci sull’uguaglianza. E se le soluzioni sono impossibili da trovare all’interno di questo sistema significa che dobbiamo cambiare il sistema. […] Siete rimasti senza scuse e noi siamo rimasti senza più tempo. Noi siamo qui per farvi sapere che il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o no». Greta Thunberg pronunciò queste parole al Cop 24 di Katowice avvenuto nel dicembre del 2018.
Parole semplici, chiare e durissime. Che hanno letteralmente scatenato – da quando è partita la sua rivoluzione Friday For Future– un’ondata verde e un punto di vista ancora più profondo e attento nei confronti della Terra.

Un nuovo tipo di comunicazione

Un’attenzione mediatica che negli ultimi mesi ha permesso anche a chi di cambiamento climatico o inquinamento dei mari non sapeva nulla di permettersi un approfondimento aggiornato su ciò che sta accadendo in tutto il mondo. Associazioni, registi, scrittori, attivisti, attori, politici, cantanti, giornalisti e la società civile si sono messi in prima linea per difendere il clima e trovare soluzioni concrete per non perdere tempo.
Nell’attesa di queste soluzioni le testate giornalistiche, internet, portali di divulgazione, l’allerta degli studiosi e le calamità naturali stanno costruendo una nuova comunicazione sul tema.

È grazie a testate come il Guardian, BBC, New York Times, Al Jazeera, rilanciate poi dai nostri quotidiani nazionali, che siamo venuti a conoscenza immediatamente dei dieci miliardi di litri di acqua dolce che partendo dalla Groenlandia si sono riversati nell’oceano Atlantico all’inizio di quest’estate. Un record di scioglimento che rischia di battere quello segnalato nel 2012.
Anche l’esistenza della “Pacific Trash Vortex” è stata una scoperta dell’ultimo periodo; il più grande accumulo di spazzatura galleggiante al mondo. Si trova nell’Oceano Pacifico, è composto da plastica, metalli leggeri, residui organici e misura tra i 700.000 km² fino ai 10 milioni di km², per un totale di circa 3 milioni di tonnellate di rifiuti accumulati.: le sue dimensioni sono simili a quelle della Penisola Iberica.
Altri numeri, altrettanto spaventosi, arrivano dal futuro: entro il 2030 si prevedono 135 milioni di profughi climatici dovuti alla desertificazione dei terreni. Africa Sub-Sahariana, Nord Africa e Europa sono al centro di un’azione di desertificazione, erosione e soil sealing(vera e propria impermeabilizzazione dei terreni).
Dati, immagini forti, discussioni, servizi giornalistici, talk show, timore collettivo e anche informazione. Soprattutto informazione; un aspetto che non manca mai ma che talvolta, rischia di seguire correnti, esagerati allarmismi e fake news che rischiano solo di intralciare gli studiosi, riportare dati errati e confondere i lettori.

Gli incendi in Amazzonia

L’estate appena conclusa è stata letteralmente invasa dalle immagini di un mondo in fiamme. Sono andate a fuoco le steppe russe, le colline californiane, alcune foreste europee ma sopra ogni altra cosa lo sgomento mondiale si è manifestato dinanzi le immagini della foresta Amazzonica; la vegetazione di tipo tropicale più estesa del Pianeta, custode del 10% delle specie globali.
L’allarme sul numero degli incendi estivi però ha subito erroneamente una stima sopravvalutata in quantità e danni. Lo scienziato Dan Nepstad, ha spiegato a Forbes che l’allarme sul numero degli incendi in Amazzonia è fortemente esagerato, essendo di poco superiore alla media degli ultimi dieci anni, e anche la Nasa ha confermato questa visione.

I mari avvelenati del Giappone

“L’acqua radioattiva di Fukushima avvelenerà il mare”.
Titoli preoccupati e allarmanti di questo genere hanno invaso le testate internazionali e nazionali, trasmettendo l’idea che il Giappone avrebbe versato nell’oceano Pacifico l’acqua radioattiva originaria dagli scarti nucleari della centrale danneggiata dal sisma e dallo tsunami del marzo 2011.
Anche Greenpeace Japan ha organizzato una vera e propria campagna a seguito della notizia: «L’acqua contaminata radioattivamente attualmente immagazzinata a Fukushima Daiichi non dovrebbe essere rilasciata nell’oceano».
Niente di più falso e fuorviante: l’acqua che viene usata per raffreddare il reattore (ormai spento, ma che emana ancora molto calore) si contamina con diversi elementi più o meno radioattivi; dopo processi “di pulizia” vari, gli scienziati riescono a eliminare queste parti radioattive ad eccezione del trizio, un isotopo dell’acqua già presente in natura (si pensi che parte del potassio presente nelle banane è ben 70 volte più radioattivo del trizio). Inoltre, si calcola che se avverranno gli ipotetici rilasci in mare saranno graduali, con intervalli di tempo e modalità di dispersione che garantiranno una buona diluizione. 
Il rischio divenuto reale ha fatto sì che una notizia poco approfondita si sia tramutata in una fake news a tutti gli effetti- tramite le varie condivisioni sui social – dando origine ad un’ondata di indignazione e preoccupazione generica e esagerata.

Le radiazioni russe

Un’esplosione di gas è avvenuta a inizio agosto in Russia, nel centro statale di virologia e biotecnologia russo Vektor (fondato nel 1974) ha causato un incendio in un laboratorio di ricerca sui virus di vaiolo, antrace e ebola.
Le autorità del Paese inizialmente hanno dichiarato la completa assenza di contaminazione obbligando lo staff dell’ospedale in cui è stato ricoverato l’uomo di non mettere al corrente il rischio di radiazione con cui sarebbero potute venire in contatto le vittime.
Solo qualche giorno dopo l’esplosione sono venuti fuori ulteriori dettagli, spesso contraddittori. Ma la linea del governo russo rimane fissa sull’assoluta certezza che nella stanza in cui è avvenuto l’incendio non ci sia stata alcun tipo di pericolo.
Una notizia che, per assurdo, nella sua gravità, è passata in secondo piano nonostante nell’incidente sia rimasto ferito un uomo, ricoverato in terapia per gravi ustioni. Ed essendo il centro interessato l’unico, insieme a un altro negli USA ad Atlanta, in cui il virus di vaiolo sopravvive per scopi scientifici.

L’Amazzonia di Bolsonaro attaccata dai politici e dagli attivisti di tutto il mondo, il falso avvelenamento dei mari da parte della centrale di Fukushima e, per finire, l’esplosione silenziosa a rischio contaminazione dal Cremlino che non ha preoccupato nessuno.
Tre aree geografiche differenti, tre notizie che hanno ricevuto ognuna un’attenzione mediatica in piena linea con i tempi dell’ondata verde senza farsi mancare nulla, neppure i refusi o la ricerca di un articolo “virale” ma errato. Una luce puntata su fatti reali, importanti che si dovrebbero affrontare con la lucidità e la professionalità che la spinosa e attualissima questione ambientale si merita.