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Fiume, cent’anni tra provocazioni e ferite

La storia è politica. Un’affermazione quasi sempre vera, che assume particolare valore quando ci si sposta al confine tra Italia, Slovenia e Croazia, nell’Adriatico del nord. Qui, in quello che spesso in Italia viene chiamato “confine orientale”, le vicende collocate tra le prima guerra mondiale e l’ascesa del fascismo continuano a dividere, tra sensibilità differenti e aperte distorsioni.

Lo scorso 12 settembre, il Comune di Trieste guidato dal sindaco di centrodestra Roberto Dipiazza ha inaugurato una statua dedicata al poeta e scrittore Gabriele D’Annunzio, che nel 1919 guidò la spedizione di Fiume, l’attuale città croata di Rijeka. La data non è casuale, perché la cosiddetta “impresa” avvenne esattamente cent’anni prima, e questo basta per trasformare l’evento in un caso politico che interroga le comunità locali e gli storici. Francesca Rolandi, ricercatrice dell’Università di Lubiana nell’ambito del progetto europeo EIRENE, spiega che «l’inaugurazione della statua dedicata a D’Annunzio nell’anniversario della spedizione di Fiume va inserita in un contesto di una politica locale, quella del Friuli-Venezia Giulia, che sta portando avanti un progetto culturale di esasperato revisionismo storico. Quindi direi che queste vicende vanno messe in relazione anche con quello che è successo nei mesi precedenti e quindi anche con le celebrazioni della Giornata del Ricordo di quest’anno presso la foiba di Basovizza».

Quali reazioni ha suscitato in Croazia?

«Innanzitutto di tipo diplomatico. Inoltre, a livello di memoria locale queste iniziative hanno portato delle tensioni sul territorio. Il 12 settembre ci sono state alcune provocazioni a Fiume: all’esterno del palazzo del governo di Fiume è stata affissa una bandiera sabauda con un messaggio delirante che metteva insieme diverse questioni: dai confini, ai migranti, a D’Annunzio. Ci sono state altre provocazioni a Trieste: al consolato croato sono stati distribuiti volantini del Fronte Veneto Skinhead in cui si rivendicava l’italianità di Fiume. Durante le commemorazioni che si sono tenute a Fiume, invece, presso lo stesso palazzo del governo c’è stata l’apertura di una mostra in cui la spedizione di D’Annunzio viene interpretata con la città di Fiume nel ruolo di vittima del fascismo. Tutto questo si è svolto sotto la protezione della polizia, ci sono state delle piccole tensioni, 16 cittadini italiani sono stati fermati dalla polizia croata e questo ha molto infastidito soprattutto i locali. Alcuni colleghi hanno sottolineato di essersi sentiti particolarmente strumentalizzati, soprattutto le persone che da anni sono sul territorio e da anni si impegnano per un dialogo, per una storiografia transnazionale che non veda da una parte la storiografia italiana e dall’altra la storiografia croata».

Quale progetto politico portano con sé azioni di questo genere?

«Su scala locale c’è un progetto di revisionismo storico che in un certo senso comprende una determinata visione su tutta la storia del Ventesimo secolo nell’area nord Adriatico, o come viene spesso chiamata in Italia nell’area del “confine orientale”. In questo contesto si parte dall’irredentismo italiano dell’inizio del secolo e si arriva anche alle foibe, che sono diventate un caposaldo di questa narrazione vittimistica nazionale. L’inaugurazione della statua a D’Annunzio va inserita in questo contesto insieme alle altre manifestazioni, come la commemorazione della partenza da Ronchi dei Legionari. Dall’altra parte esiste anche una corrente storiografica che ruota intorno alla fondazione del Vittoriale e che punta a una valorizzazione della figura di D’Annunzio, della quale viene negato il legame con il fascismo che viene invece incondizionatamente sostenuto dalla storiografia croata».

Che interpretazione viene data da chi nega il legame tra D’Annunzio e il fascismo?

«Questa corrente storiografica che ruota intorno al Vittoriale interpreta la spedizione di D’Annunzio in chiave rivoluzionaria, addirittura libertaria, quindi una specie di anticipazione del 1968, come viene ribadito nella mostra ancora visibile a Trieste. Diciamo che esistono delle ambiguità, perché da una parte si sottolinea la volontà di aprire un dialogo con la storiografia croata e dall’altra parte c’è una saldatura con queste strumentalizzazioni da parte della politica locale. Credo che questa insistenza sul non-fascismo di D’Annunzio sia un po’ sterile, vuol dire poco se non si riflette su che cos’è la categoria di fascismo, che in alcuni casi può suonare un po’ anacronistica, nel senso che il fascismo del 1919 non è quello che poi sarà il fascismo successivo. Se pensiamo a quella che è stata la vicenda di D’Annunzio possiamo essere concordi su alcuni elementi, come sul fatto che D’Annunzio era un nazionalista che credeva nella superiorità della civiltà italiana, era un irredentista che credeva nel colpo di mano ai danni della sovranità altrui. Per questo se si appoggia l’occupazione di Fiume da parte di D’Annunzio non vedo perché non si possa appoggiare l’azione russa in Donbass, per esempio. Era un interventista, e questo è importante per quanto riguarda la sua eredità storica: D’Annunzio spinse il popolo italiano a quel grande massacro che fu la prima guerra mondiale. È innegabile che di per sé questa vicenda abbia delle caratteristiche che non possono essere ricordate che in maniera tragica, anche se ci furono sicuramente dei tratti interessanti nella sua esperienza politica, vi fu dello sperimentalismo che però rimase in tutto e per tutto sulla carta e non fu mai applicato, mentre dal punto di vista culturale era chiaramente un intellettuale di primo piano, che visse una saldatura con i futuristi».

Provando a guardare alla vicenda con una certa distanza storica, che cosa si può dire a cent’anni di distanza?

«Se si guarda in generale a quello che fu la vicenda di D’Annunzio per Fiume io direi che, sebbene nel settembre del 1919 ci fu una parte della popolazione che accolse con estremo favore D’Annunzio, nel giro di pochi mesi Fiume si trasformò in uno spazio claustrofobico, una città assediata in cui regnavano la miseria e la disoccupazione, in cui c’erano milizie paramilitari che spadroneggiavano. Questa situazione fu aggravata anche dopo che D’Annunzio fu scacciato dall’Esercito Italiano, perché molti dei Legionari rimasero in città e diedero luogo a una spirale di violenze che furono sia politiche sia nazionali. Possiamo dire che l’occupazione di Fiume da parte di D’Annunzio segnò il declino di quella che era stato una fiorente città cosmopolita ai tempi asburgici, ai tempi dell’Impero austro-ungarico. Molti fiumani si sentirono in un certo senso prigionieri di D’Annunzio, non solo coloro che furono direttamente perseguitati, che furono non solo i croati ma anche molti oppositori politici che si consideravano italiani. Inoltre, sulla questione dell’identità nazionale bisogna sempre essere particolarmente attenti nelle definizioni: persone che si consideravano italiane furono perseguitate dalle forze di D’Annunzio su base politica, ma anche molti nazionalisti e persone che erano state irredentiste o che avevano abbracciato la causa italiana si sentirono strumentalizzate. Ecco, questa sensazione continua anche oggi».