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Il creato come parte del corpo di Dio

Nel pieno del Tempo del Creato, periodo iniziato il 1° settembre e che si concluderà il 4 ottobre, vi proponiamo una riflessione con Laura Testa, pastora valdese nella comunità di Verona e diaspora Trentina e membro della Glam, Commissione Globalizzazione e Ambiente della Federazione Chiese Evangeliche in Italia.

Dal punto di vista biblico, quale lettura si può accompagnare alla responsabilità dei nostri atti quotidiani verso il creato?

«A me piace molto, dal punto di vista teologico, immaginare il creato come corpo di Dio, esattamente come lo siamo noi. Una metafora che cambia molto la nostra visione, più legata forse ad una gerarchia di un Dio padre, creatore esterno. Se immaginiamo di essere parte del corpo di Dio comprendiamo il livello di interconnessione profonda che ci lega a tutto ciò che è attorno a noi e insieme a noi in questo viaggio».

Il Creato non è solo un dono, quindi, ma anche una corresponsabilità.

«Il creato è un dono, una vicinanza, una solidarietà, ma certo però è anche una responsabilità, di cui forse ci verrà chiesto conto. Cosa consegniamo infatti al futuro delle nuove generazioni? L’idea è che la nostra riconciliazione con il creato, con le persone e il mondo intorno a noi, valga anche nel futuro, non solo nel presente che viviamo. Ciò che facciamo oggi, nel lavoro dell’orto della nostra vita e al servizio del creato, non lo facciamo solo per noi stessi, ma per il progetto di Dio che ci precede creando, donando».

La Glam ha riflettuto, nel suo dossier per il Tempo del Creato 2019, anche su una nuova visione dei “rifiuti”.

«Non si può pensare che utilizziamo e poi scartiamo qualche cosa. Ciò che è corpo di Dio è tutto utile, bello, sano e ha valore. In una visione antropologica, quindi, anche ogni persona, ogni essere umano ha valore e significato. Nelle prospettive più attuali e urgenti della mondialità questo è un valore di rispetto, di diritto e di dignità. I rifiuti possono essere risorse preziose se trattate e gestite in modo consapevole».

Questa è una visione in cui possiamo ritrovare l’attenzione sul riutilizzo, il riciclo.

«Riciclare è sempre un senso creativo, significa ridare valore, ridare vita, storia e corpo a oggetti, situazioni, luoghi che può ancora avere un futuro e una validità. Non dimentichiamo però che nella questione ambientale è fondamentale l’intenzione politica. Nei processi industriali va trasformata la mentalità, non possiamo continuare ad immaginare di comprare tutto sotto plastica. Bisogna cambiare le nostre idee di utilizzo del denaro, del nostro tempo affinché tutto il nostro vivere possa essere maggiormente sostenibile, anche a monte nella produzione di quello che sarà un rifiuto. Ritornare ad una produzione che non si basa sull’imballo, sull’involucro, ma su ciò che si vende».

Quali “buone pratiche” suggerisce la Glam?

«La libertà di uscire dagli schemi imposti dalle grandi distribuzioni, costruendo attorno a sé delle reti alternative foriere di enormi risultati in termini di comunione, comunità, amicizia, solidarietà, sentimenti e relazioni. Le chiese possono mettere in atto una serie di pratiche che danno la possibilità di esplorare dei territori di fraternità nuovi, rinnovano il tessuto comunitario mettendosi in gioco con uno scambio di idee e di iniziative. Pensiamo, ad esempio, anche solo a situazioni liturgiche diverse dall’ordinario in cui si usano anche elementi naturali o la predicazione all’aria aperta».

Sono strade percorribili e possibili, più di quanto si possa pensare. Come ribadisce la pastora Laura Testa: «Copiare non è peccato! Possiamo riprendere le buone pratiche, i processi virtuosi e tornare ad una circolarità delle situazioni che può essere utile a tutti e a ciascuno».