erosione

Alaska. No alla perforazione petrolifera nell’artico

Nell’ inchiesta dell’Episcopal News Service firmata da Egan Millard, si parla dell’impegno condiviso delle chiese episcopaliane e dei nativi Gwich’in per tutelare l’Arctic National Wildlife Refuge. Area protetta a nord-est dell’Alaska, si estende per oltre 19 milioni di acri – come la Carolina del Sud -, dalle foreste interne dell’Alaska attraverso la Brooks Range, fino alla tundra della pianura costiera e all’Oceano Artico. Una delle popolazioni native, i Gwich’in, la chiamano “Iizhik Gwats’an Gwandaii Goodlit”, cioè “il luogo sacro dove inizia la vita”, in quanto è proprio lì che i caribù danno alla luce e allattano i loro cuccioli. La zona inoltre rappresenta la più grande riserva di fauna selvatica negli Stati Uniti. Tra gli attivisti per la tutela della zona, Bernadette Demientieff, donna di origine Gwich’in che dirige il relativo Comitato nazionale e fa parte del gruppo di azione della Chiesa episcopaliana per la cura del creato e il contrasto al razzismo ambientale, che ha fra i suoi obiettivi quello di fornire studi e raccomandazioni per la promulgazione di leggi federali, statali o locali che tutelino l’ambiente, il territorio e la cultura di sussistenza delle minoranze etniche, anche in ambito industriale ed energetico. A causa della quasi totale assenza di collegamenti, la vita nei villaggi Gwich ruota intorno a un’economia di sussistenza: caccia al caribù, pesca e raccolta.

«Quella stessa area, tuttavia, ha attirato l’interesse dell’industria dei combustibili fossili per decenni perché potrebbe contenere giacimenti di petrolioPrudhoe Bay, il più grande giacimento del Nord America a ovest della riserva, in funzione dagli anni ’60, ha radicalmente modificato la composizione economica, demografica e culturale dell’Alaska. E ha anche cambiato per sempre il paesaggio; quella che una volta era una frontiera incontaminata lungo l’Oceano Artico è ora un centro dell’industria pesante» spiega Millard nel suo articolo. Il crollo dei prezzi del petrolio ha portato lo Stato a perdere entrate, residenti e posti di lavoro in una zona che aveva visto il boom dell’industria petrolifera e del gas, i cui proventi rappresentano ancora oggi la percentuale più alta delle entrate statali quindi la sua conseguente dipendenza dal settore. Crisi di bilancio e tagli aggravano la situazione. Gli oppositori dello sfruttamento senza controllo devono vedersela con le disposizioni firmate dal presidente Donald Trump, con gli interessi economici, industriali e dei potenziali investitori e con altri nativi che sarebbero invece favorevoli allo sfruttamento delle risorse petrolifere, come ad esempio gli Iñupiaq, i quali avrebbero beneficio sotto forma di entrate fiscali, dividendi societari, migliori infrastrutture dei villaggi e posti di lavoro.

La situazione politica è in continua evoluzione, così come lo è la crisi climatica i cui effetti in Alaska sono particolarmente visibili: «Lo Stato si è riscaldato due volte più velocemente rispetto al resto degli Stati Uniti negli ultimi 60 anni, con temperature invernali medie che sono aumentate di 6 gradi Fahrenheit, secondo il Fondo di difesa ambientale. Per le temperature record, il ghiaccio marino che un tempo proteggeva i villaggi costieri dall’erosione si è drasticamente ritirato, causando problemi ai cacciatori di foche, balene e trichechi. Il Permafrost sotto i villaggi si sta scongelando rapidamente, causando l’affondamento della terra e spesso portando all’erosione. Interi villaggi si stanno spostando verso un livello più elevatoL’acqua calda sta causando la morte dei salmoni, minacciando un’importante fonte di approvvigionamento alimentare ed economico. Incendi boschivi stanno diventando una minaccia sempre più comune».

Il legame tra Gwich’in e Chiesa episcopale risale al XIX secolo, quando i missionari episcopali e anglicani portarono la testimonianza cristiana. Uno di quei missionari, Robert McDonald, creò la forma scritta della lingua Gwich e tradusse la Bibbia e il libro di preghiera.