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Un festival che guarda all’estero con il cuore in Italia

La ventitreesima edizione del festival letterario più prestigioso d’Italia si spalanca su una giornata di sole di un inizio settembre mantovano. È dal 1997 che la cittadina lombarda ospita nei primi giorni di settembre appassionati di letteratura, curiosi e turisti da tutta Europa.
Quella del 2019 è un’edizione che ha voluto sfidare le tradizioni del passato lanciandosi in un’avventura esterofila apprezzatissima. A differenza degli anni passati, gli autori nostrani hanno lasciato spazio ai nomi dei giganti della letteratura straniera che hanno riempito e incantato i luoghi magici della città. C’è stato chi come la canadese Margaret Atwood – attesissima e acclamata da un pubblico eterogeneo e appassionato – approdava a Mantova per la prima volta. Anche per Ali Smith, la prima autrice della “BrexLit” (letteratura appartenente al fenomeno della Brexit) è stato un esordio entusiasmante a cui hanno fatto seguito l’autore Manuel Vilas, direttamente dalla Spagna, Newal al-Sa’dawi, giovane attivista egiziana portavoce delle battaglie femminili del mondo islamico, l’erede del romanzo americano David Feggers e la promettente latinoamericana Valeria Luiselli.

Un festival che dal 4 all’8 settembre scorsi ha riempito le strade di Mantova baciate dal sole e innaffiate da temporali di fine estate improvvisi ma accolti come un’occasione per potersi rifugiare all’interno di edifici che si trasformano in impensabili monumenti storici ed artistici o per fare un salto alla Libreria del Festival per poter acquistare i volumi delle presentazioni e dei nomi dei loro autori che si sentono mormorare tra le file e in pieno centro.

L’evento di letteratura più ambito e riconosciuto in Italia e anche a livello europeo riesce a coinvolgere la città che lo ospita con un calore e una naturalezza disarmanti che si possono respirare e incrociare ad ogni angolo soprattutto e anche grazie ai suoi volontari. I giovani mantovani e della provincia che sfrecciano in giro per i vicoli, preparatissimi e gentilissimi, tutti uniti per una missione che ormai da più di vent’anni li vede protagonisti al rientro delle vacanze dandogli l’occasione per condividere, conoscersi e crescere. Quest’anno le loro magliette bianche e blu riportavano la stampa dell’illustrazione di Sarah Mazzetti – una rivisitazione della celebre Stanza dei Giganti di Palazzo Tè – e immagine ufficiale dell’edizione 2019 del Festival.

Una manifestazione in completa rivoluzione, europea e particolarmente attenta a ciò che il mondo grida e i libri stanno iniziando a raccontare.
Sublime l’intervento della madre delle ancelle diventate celebri anche grazie a una serie tv ispirata al suo lavoro (Il racconto dell’ancella, 2017, HBO), quando le viene chiesto se riesce a sentire e a percepire lo spirito di ribellione che ha risvegliato in molti lettori e fan del suo romanzo distopico. «In fondo nel mio libro ho riportato soltanto quello che credevo queste persone pensassero di chi ha il potere, e di solito ad averlo sono suprematisti bianchi o integralisti religiosi che usano la religione come facciata per poi fare altro. Questi uomini, come Hitler, sarebbero felicissimi di fare fuori il maggior numero possibile di gay, di neri e di ebrei. L’unico messaggio possibile verso queste persone è: non li votate, non lasciate che salgano al potere».
Anche Ali Smith, nella serata dedicata alla sua quadrilogia dedicata agli effetti della Brexit (Autumn, 2018, SUR edizioni) risponde con una semplicità disarmante alla questione del ruolo politico degli scrittori in questa attualità bisognosa di simboli e portatori di messaggi: «Sono una storyteller, e se ciò che scrivo è politico, è perché tutto lo è».

Dibattiti, conferenze, approfondimenti storici, letture commemorative da Saramago a Borges, il ruolo della parola riportato al centro tramite confronti e interventi tra autori e specialisti, studiosi e persone comuni. L’aria che si respira è carica di curiosità ed entusiasmo. Anche quando J.S. Foer riporta i suoi lettori coi piedi per terra, ricordando a tutti che la consapevolezza della situazione globale non basta, l’animo non si smorza. Parole dure quelle dello scrittore e attivista ambientale, diventato famoso con il suo scritto personale e critico nei confronti del consumo della carne (Se niente importa, Guanda): «A noi tutti piace la vita che facciamo. Però possiamo individuare un piano d’azione e decidere di fare alcune rinunce. Come mangiare carne solamente a cena e ridurre i viaggi in aereo. Dobbiamo renderci conto che i piccoli gesti fanno parte della soluzione».

È stato anche un festival etico, ecologico e al passo quello di questa ventitreesima edizione. Lo hanno dimostrato le borracce – ormai status symbol di una rivoluzione verde partita dai giovani – i dialoghi e i laboratori dedicati sia ai grandi che ai piccini sulle tematiche biologiche e ambientali e anche la rigorosa attenzione per la differenziata partecipata ad ogni angolo ma soprattutto alla mensa dedicata ad autori e volontari.

Attenzione, coinvolgimento, curiosità e cultura. Parole piene di significato che all’interno di una realtà sempre innovativa e pronta alle sfide riesce a ottenere risultati sempre diversi e positivi. «Fare le stesse presenze con meno eventi ci ha stupito, come il successo della libreria del festival che ha venduto più dello scorso anno», ha dichiarato al Corriere il presidente della commissione Luca Nicolini. 122 mila visitatori della città, 62 mila biglietti venduti e quasi 60 mila partecipanti contati agli incontri gratuiti. Una chiusura in pareggio che segna il successo pluriennale e la stima continua del pubblico nei confronti di un evento che è il fiore all’occhiello della cultura italiana dagli ultimi e ormai lontani anni Novanta.