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«Se la chiesa tace, è complice della violenza»

Nei giorni scorsi il metodista Jim Winkler, presidente e segretario generale del Consiglio nazionale delle Chiese negli Usa (NccUsa), che riunisce dal 1950 trentotto denominazioni e più di 40 milioni di fedeli, ha scritto una lettera aperta in cui ha esortato le varie chiese membro a unirsi alla campagna mondiale dei Giovedì in nero, Thursdays in black. Ricordiamo che un invito ufficiale ad aderire a questo movimento è stato pronunciato anche dall’ultimo Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, con l’adozione della Dichiarazione sulla violenza sessuale e di genere e sul Premio Nobel per la Pace del novembre 2018 del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), a sua volta promotore anche di un ciclo di interviste sul tema della prevenzione della violenza di genere inaugurato dalla moderatrice del Cec, dottoressa Agnes Abuom (leggi qui l’approfondimento su questo e sulla decisione del Sinodo).

Ed è proprio a un discorso di Abuom, intervenuta di fronte all’assemblea generale della Chiesa evangelica luterana in America (Elca, tenutasi ai primi di agosto a Milwaukee: qui le principali decisioni, tra cui l’approvazione purtroppo non unanime della dichiarazione “Fede, sessismo e giustizia: un invito all’azione”), che Jim Winkler dichiara di essersi ispirato per il proprio messaggio. Nel testo Winkler sottolinea l’importanza di parlare e agire contro la violenza, in modo da rendere sicuri da soprusi e abusi di vario genere (come sarebbe normale che fossero, aggiungerei) i luoghi della vita quotidiana: case, posti di lavoro, scuole e ovviamente chiese.

«Uno dei modi di partecipare alla campagna», spiega Winkler, «è di vestirsi di nero al giovedì: così facendo, prendiamo una posizione pubblica e abbiamo l’opportunità di spiegare perché siamo coinvolti».

Ammettendo di essere stato ingenuo, in gioventù, e quasi incredulo di fronte ai numeri delle violenze sessuali anche nel suo Paese, con il passare degli anni, di fronte alle testimonianze dirette di amiche e persone amate, è diventato «consapevole di questo problema dilagante».

Citando i rapporti del Centro nazionale risorse sulla violenza sessuale (Nsvrc) secondo cui negli Usa una donna su 5 (e un uomo su 71) ha subito una violenza sessuale nella propria vita (rapporto  che sale a 1/3 se parliamo di un abuso sessuale più generico), Winkler ricorda la definizione data dallo psichiatra Terry Kupers di «mascolinità tossica», ossia «la costellazione di tratti maschili socialmente regressivi che servono a favorire il dominio, la svalutazione delle donne, l’omofobia e la violenza sfrenata».

Considerando che la maggior parte delle violenze viene perpetrata da giovani uomini, sottolinea il presidente NccUsa, c’è molto da lavorare su di loro, e richiama quanto scritto da Richard Mollica, direttore del programma sui traumi dei rifugiati dell’Università di Harvard, «i giovani uomini sono le persone più pericolose del pianeta, perché rispondono facilmente all’autorità e vogliono l’approvazione». Questo diventa ancora più tragico in contesti di guerra, dittatura o terrorismo: come spiega Mollica, «vengono ricompensati quando entrano nel sistema gerarchico, e sono condotti a credere che stanno costruendo il paradiso in terra. Nella maggior parte delle atrocità, c’è il sogno utopico di una società più pura, più pulita. I giovani sono molto idealisti e diventano preda di varie forme di potere che fanno appello proprio a questa loro natura idealista. Le persone che commettono un omicidio trovano molto facile razionalizzarlo e venire a patti con esso, quando questo viene condonato».

Questo è peraltro, anche se Winkler non lo esplicita, proprio il genere di violenza da cui sono nati i giovedì in nero, nel Decennio di solidarietà con le donne promosso dal Cec (1988-1998) e ispirati alle manifestazioni delle madri di Plaza de Majo per i loro cari scomparsi, delle “donne in nero” israeliane e palestinesi, delle donne in Ruanda e Bosnia che denunciavano l’uso dello stupri come arma di guerra, del movimento Black Sashin Sudafrica contro l’apartheid e le violenze sulla popolazione nera.

Per questo Jim Winkler ribadisce, unendo la propria voce a un coro ogni giorno più forte, che «la chiesa ha un ruolo importante nell’indirizzare questa crisi spirituale e nello sviluppare una visione più positiva della mascolinità. Se la chiesa tace, siamo complici e contribuiamo alla violenza che ci circonda». E conclude: «I demoni della xenofobia, dell’odio, del sessismo, della violenza e della guerra devono essere affrontati. Dobbiamo proclamare la libertà per i prigionieri e la liberazione per gli oppressi. Non possiamo più perpetuare il mito secondo cui va bene mettere a tacere e sminuire le donne e commettere violenza contro di loro. Thursdays in Black è un movimento per ricostruire le vite e le relazioni». E Winkler chiude con l’esortazione finale a «farne tutti parte».

 

Foto: via Istock