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Italia-Francia, un confine senza diritti

I minori non accompagnati che attraversano il confine tra Italia e Francia sono sottoposti a procedure di valutazione dell’età approssimative, spesso arbitrarie, che non rispettano gli standard internazionali. A riportare all’attenzione questo tema è un rapporto pubblicato giovedì 5 settembre dall’organizzazione umanitaria Human Rights Watch, dal titolo Subject to Whim: The Treatment of Unaccompanied Migrant Children in the French Hautes-Alpes (“soggetti a capriccio:  il trattamento dei minori migranti non accompagnati nelle Hautes-Alpes francesi”). In questo documento, che racconta una realtà già nota a chi lavora sul confine a vario titolo, si sottolinea come gli esaminatori che hanno il compito di certificare lo status di minore, ovvero di età inferiore ai 18 anni, spesso usano varie giustificazioni per negarne la protezione: da errori con le date alla riluttanza a discutere di esperienze particolarmente traumatiche in dettaglio, oppure il lavoro che hanno fatto nei paesi di origine o durante il trasporto, o ancora quelli che gli esaminatori ritengono obiettivi di vita non realistici. I respingimenti da parte delle autorità francesi, dunque, risultano illegali.

Secondo Anna Brambilla, avvocata del foro di Milano e collaboratrice di Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), che da anni segue il percorso migratorio tra Italia e Francia nelle Alpi o a Ventimiglia, queste pratiche sono sistematiche, perché «prosegue quantomeno dal 2015-2016, quando la Francia ha ripristinato i controlli alle frontiere interne». «È un fenomeno – spiega Brambilla – che ormai va avanti da quattro anni ed è variegato, nel senso che in alcuni casi in alcuni casi i minori ricevono il refus d’entrée (il divieto d’ingresso) e in altri casi la riammissione, o respingimento in Italia in modo del tutto informale».

Sia gli avvocati italiani sia quelli francesi da tempo cercano di evidenziare e se possibile prevenire queste prassi con la propria presenza sul confine. Inoltre, gli avvocati francesi hanno presentato diversi ricorsi ai tribunali, in particolare al tribunale di Nizza e i giudici francesi hanno già sancito l’illegittimità di queste prassi. È cambiato qualcosa?

«La polizia di confine francese non ha interrotto i respingimenti e semplicemente ha agito non riconoscendo la minore età della persona anche quando lo stessa produceva certificati di nascita, quindi ci sono proprio molte prassi che vanno appunto dal respingimento alla falsificazione di documenti, alla sottoposizione a procedure di accertamento dell’età descritte appunto anche nel rapporto che non sono basate su un approccio multidisciplinare, quindi sono veramente tante e rischiosissime».

Perché è importante vedersi riconosciuto lo status di minore?

«Diciamo che non è solo e non tanto lo status di minore, perché il problema non è che i minori non possano essere riammessi nel territorio italiano dalle autorità francesi. Qui il problema è un altro: innanzitutto questi respingimenti non avvengono, come abbiamo detto, con le garanzie dovute rispetto al diritto francese, quindi per esempio la nomina di un tutore, e soprattutto quello che non viene consentita è la presentazione di una richiesta di asilo».

Quindi, ancor prima del riconoscimento di una forma di protezione internazionale, quello che non viene consentito a questi minori che attraversano il confine è di poter manifestare la volontà di presentare la richiesta?

«No, la manifestazione di volontà avviene, il problema è che non riescono a documentarla e quindi nel momento in cui non vengono riconosciuti dalle autorità francesi come minori stranieri richiedenti asilo vengono respinti. Se invece fossero riconosciuti come tali, dovrebbero rimanere in territorio francese perché questo dispone la normativa europea. Quindi il punto cruciale è questo: garantire l’accesso alla procedura d’asilo e poi certamente il riconoscimento come minore, perché se anche si garantisse l’accesso alla procedura d’asilo ma si venisse riconosciuti come adulti, le previsioni del Regolamento di Dublino in questo caso sono diverse, ma anche in questo caso il respingimento ha una contrarietà con il Regolamento Dublino perché se io arrivo in Francia, manifesto la volontà di chiedere protezione internazionale devo essere trattato come un richiedente asilo ed eventualmente rinviato in Italia, ma attraverso il regolamento Dublino e non in modo informale come avviene spesso a Briançon o Claviére».

Alla fine del 2017, come raccontato su Riforma, il Parlamento europeo aveva approvato la riforma del Regolamento di Dublino andando in gran parte oltre il mero criterio geografico, secondo il quale la competenza per la richiesta d’asilo di radica nel Paese di primo ingresso in Unione europea. Le resistenze di alcuni Paesi e un generale disinteresse hanno portato quella riforma a perdersi per strada. Ora il nuovo governo italiano sottolinea la necessità di rilanciare una riforma del sistema. Su una frontiera come quella tra Italia e Francia che cambierebbe con un regolamento di Dublino che va oltre il principio geografico?

«Se si rivedesse il Regolamento Dublino, soprattutto valorizzando, come era nella proposta di Dublino IV, i vincoli familiari o i precedenti legami con altri Paesi europei, è chiaro che una buona parte dei migranti che tentano di attraversare il confine in modo “irregolare” non lo farebbero. Penso a eritrei, somali, sudanesi che hanno spesso comunità di riferimento nei luoghi in cui intendono arrivare. Per persone provenienti da altri Paesi, forse non sarebbe così perché i transiti, gli spostamenti, i movimenti secondari avvengono per altre ragioni, però sicuramente molte persone sarebbero più tutelate».

Oggi come funziona per i minori?

«Se le procedure di ricongiungimento familiare funzionassero effettivamente, e soprattutto se i tempi di attesa fossero più brevi, il minore che ha parenti in un altro Paese dell’Unione europea, ovviamente regolarmente soggiornanti, richiedenti asilo o rifugiati, potrebbe raggiungerli. Ci sono già adesso delle clausole nel Regolamento Dublino che potrebbero alleggerire quello che accade alle frontiere, ma i tempi di attesa sono lunghi e gli Stati sono restii ad applicare per esempio le disposizioni sulle persone a carico, le clausole umanitarie. Quindi il problema non è solo quello che dice la norma, ma è come viene applicata, è la volontà politica degli Stati».