img-20181108-wa0003

Yemen, un fallimento collettivo con responsabilità collettive

Tutti gli attori che stanno combattendo la guerra in Yemen hanno commesso e stanno commettendo abusi e crimini di guerra, segnando un fallimento collettivo della comunità internazionale. Questo, in estrema sintesi, è quanto emerge dall’ultimo rapporto pubblicato mercoledì 4 settembre dal gruppo di esperti incaricato dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Ohchr). Charles Garraway, membro del gruppo di esperti, racconta che questo conflitto è «responsabilità di tutti, non solo delle parti in conflitto ma anche dell’intera comunità internazionale» e che allo stesso modo sia condiviso anche il compito di «prendere provvedimenti per risolverlo».

In particolare, il lavoro del gruppo di esperti sottolinea le uccisioni arbitrarie, l’uso sistematico e indiscriminato di mine antipersona e in generale di armi contro i civili e un elevato livello di impunità, segno dell’impotenza della comunità internazionale. «Il primo crimine che abbiamo osservato quest’anno in particolare – racconta Garraway, che ha composto il gruppo di lavoro insieme a Kamel Jendoubi e Melissa Parke – è stato l’uso delle mine antipersona da parte degli Houthi. Abbiamo scoperto che queste mine, sia quelle antipersona sia quelle antiveicolo, vengono utilizzate in modo completamente indiscriminato e mettendo a rischio i civili. Questo uso indiscriminato delle mine antipersona è una violazione del diritto internazionale umanitario e potrebbe costituire un crimine di guerra». Oltre a esaminare quella che è una vergogna storica dei conflitti contemporanei, forse anche una delle più note, il rapporto racconta di un’ampia serie di violazioni in praticamente ogni settore del diritto di guerra. «Abbiamo esaminato i bombardamenti da parte di tutte le forze – ricorda Charles Garraway – in relazione in particolare a Ta’izz e Hodeidah. Anche in questo caso abbiamo registrato l’uso di armi che hanno un’area di impatto molto ampia e un vasto uso di “fuoco indiretto” in aree molto popolate dove non poteva essere garantito il fatto di colpire un obiettivo militare. Guardando al campo della detenzione, abbiamo scoperto che c’erano casi di sparizioni forzate, casi di stupro, casi di tortura e così via in tutti i sistemi di detenzione su entrambi i lati. Abbiamo riscontrato un gran numero di violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, alcune delle quali, anche se non tutte, potrebbero risultare crimini di guerra».

Visti i rapporti di forza, è inevitabile puntare il dito prima di tutto verso la coalizione a guida saudita, che dal marzo del 2015 conduce un’offensiva aerea a supporto dell’esercito yemenita, senza risparmiare obiettivi civili, sanitari ed educativi di alcun genere. Inoltre, sia il governo dell’Arabia Saudita, sia quello degli Emirati Arabi Uniti, sia lo stesso governo yemenita in parziale esilio, nell’ultimo anno hanno deciso di interrompere la cooperazione con il gruppo di esperti dell’Onu, negando loro l’accesso e rendendo quindi ancora più difficile un lavoro che già nel suo precedente mandato non aveva ottenuto un pieno accesso. Nonostante questo, le informazioni già raccolte e la collaborazione con realtà presenti sul territorio, ha permesso di ampliare e completare il lavoro pubblicato lo scorso anno. «Siamo stati in grado di completare le indagini in settori in cui non eravamo riusciti a trarre conclusioni lo scorso anno», racconta Garraway. «Per esempio, la battaglia di Aden del 2015, che non avevamo affrontato l’anno scorso, è stata inserita nei lavori di quest’anno. Allo stesso modo, siamo stati in grado di analizzare in modo approfondito l’uso delle mine antipersona da parte degli Houthi e di presentare questo rapporto non solo proseguendo con ciò che è accaduto nell’ultimo anno, ma anche risalendo all’inizio del conflitto, cercando di riportare in maggior dettaglio ciò che abbiamo impostato l’anno scorso». Proprio questo maggiore dettaglio ha permesso di rafforzare uno dei punti fondamentali di questo conflitto: nessuno è innocente, tranne le vittime civili. Anche i ribelli Houthi, infatti, potrebbero anche aver commesso crimini di guerra, bombardando indiscriminatamente aree civili, prendendo di mira i civili con cecchini, assediando diverse aree e reclutando bambini per combattere o per svolgere attività di supporto alle operazioni militari.

Nel rapporto si parla di un conflitto locale che coinvolge attori internazionali a vario titolo, riportando all’attenzione il tema della, o delle, responsabilità. «Qui – spiega Charles Garraway – la prima difficoltà da considerare è la differenza tra la responsabilità dello Stato, che è di natura civile, e la responsabilità penale in cui le persone sono ritenute responsabili di attività criminali. Sono due questioni diverse con due standard diversi, in termini di raccolta di prove e di onere della prova. Noi abbiamo esaminato la responsabilità dello Stato e lì abbiamo riscontrato violazioni commesse dagli Houthi e commesse anche dalla Coalizione e in particolare dalle forze del governo dello Yemen sponsorizzate e sostenute dagli Emirati Arabi Uniti. Ma quando si parla di responsabilità penale individuale bisogna tenere presente che non siamo un tribunale, non siamo un organo investigativo in questo senso. Ma quello che abbiamo fatto è stato identificare i possibili autori di questi crimini e abbiamo fornito all’Alto commissario un elenco confidenziale da utilizzare se mai si creasse un meccanismo di responsabilità nei confronti dello Yemen. Noi speriamo possa accadere».

Nel rapporto si sottolinea anche come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia e l’Iran potrebbero essere complici degli abusi, avendo fornito informazioni di intelligence e supporto logistico, oppure vendendo armi alle varie parti in causa: un tema che riguarda anche l’Italia e in particolare lo stabilimento della tedesca RWM in Sardegna, dove sono state costruite e da cui sono state distribuite bombe destinate alla coalizione a guida saudita, poi utilizzate in Yemen. «Ciò che è cruciale qui – ricorda il membro della commissione di esperti – è che il conflitto sta causando immense sofferenze al popolo dello Yemen, indipendentemente dalla sua legittimità. E l’unico modo per fermare quella sofferenza è una soluzione politica al conflitto che includa l’assunzione di responsabilità. È responsabilità di tutti gli stati lavorare a tal fine, e una delle cose che gli Stati devono chiedersi è se la fornitura di armi a tutte le parti in questo conflitto sia utile per risolvere questa situazione. In determinate circostanze ci sono situazioni in cui gli Stati devono chiedersi se stanno contribuendo consapevolmente o inconsapevolmente al commettere violazioni e crimini, ma questo va oltre la questione legale, è in un certo senso una questione di responsabilità della comunità internazionale nel suo insieme».

Questo è uno degli insegnamenti da derivare da questo lavoro, ma conduce verso un problema più ampio: che cosa succede ora, dopo questa pubblicazione? In che modo i rilievi di questo rapporto possono essere tradotti in una differente gestione della crisi? «Il nostro compito – chiarisce Garraway – è stato quello di indicare cosa sta succedendo e cercare di portarlo all’attenzione del pubblico. Penso a a quelle terribili foto dei campi di concentramento di Omarska, nei Balcani, ormai più di 25 anni fa, e di come venne portata all’attenzione internazionale la crisi dei Balcani. Quell’attenzione costrinse gli Stati ad agire per portare alla fine della guerra nei Balcani e forse uno dei problemi e una delle tragedie dello Yemen è che non ha fatto parte delle priorità della comunità internazionale. Speriamo che questo rapporto lo porti all’attenzione del mondo affinché le persone facciano il possibile per aiutare il popolo dello Yemen».