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Minoranze valdesi fra Italia e Uruguay: ritratto di una somiglianza

Con l’elezione di Alessandra Trotta come moderatrice della Tavola valdese sono due le donne che guidano la Chiesa valdese, un’entità unica con due articolazioni, una in Italia, che comprende anche le chiese metodiste, e l’altra in Uruguay, che comprende la regione del Rio de La Plata a cavallo dell’omonimo fiume.

La “Moderadora” della Mesa valdense del Rio de La Plata è Carola Tron, giovane pastora della chiesa di San Salvador, che è stata ospite del Sinodo recentemente concluso a Torre Pellice.

Avendo partecipato all’intero Sinodo, ha potuto osservare le dinamiche dell’altro ramo della chiesa e ha commentato con allegria la nomina di un’altra donna a capo della Tavola valdese in Italia: «È prezioso e importante che una donna sia moderatora della Tavola. E lo è ancora di più perché questa elezione non è frutto di un meccanismo di “quote rosa” o di alternanza. È una scelta libera delle nostre chiese e questo vuol dire che stiamo lavorando bene».

L’Agenzia Nev ha avuto la possibilità di fare con lei, nei giardini del Collegio valdese, una lunga chiacchierata che ha spaziato tra le similitudini e le differenze delle due chiese, la situazione della Iglesia valdense del Rio de La Plata e il ruolo dei valdesi nel contesto sudamericano.

Nella chiesa valdese in Italia è emersa la perdita di partecipazione dei giovani alle attività proprie del culto e della chiesa e invece un grande attivismo nelle attività di volontariato e militanza sociale. Che succede in Uruguay? 

Le tematiche nelle quali i giovani della nostra chiesa sono più impegnati sono quelle di genere e quelle legate al lavoro politico. E poi c’è l’impegno forte e profuso nei campi estivi, per i quali si formano durante tutto il corso dell’anno.

Come lavorate sui temi di emergenza sociale che negli ultimi anni sono emersi con prepotenza in Uruguay e Argentina? Mi riferisco al fenomeno migratorio e a quello della crescita della povertà, rispettivamente?

La Iglesia valdense ha sempre sostenuto programmi sociali attraverso la nostra Diaconia che offre appoggio e sostegno ad anziani, campesinos, giovani e famiglie vulnerabili. Poi ci sono le attività sociali svolte dalle chiese locali che agiscono sui territori di appartenenza. Nei nostri paesi siamo soggetti a crisi forti e repentine, che investono sia la società sia le nostre chiese, composte per lo più da persone della classe media e di età piuttosto avanzata. Spesso nelle nostre chiese facciamo fronte a richieste dirette, ad esempio di banco alimentare. L’Argentina, che ha avuto un’economia più forte, ha sempre ricevuto migranti, ma per l’Uruguay è una cosa nuova. Stiamo assistendo a migrazioni da paesi come Venezuela e Cuba, per lo più per motivi legati alla situazione politica, e da Guatemala, Salvador, Honduras, legate ad aspetti sociali e di sicurezza. È una migrazione nuova che arriva anche via terra, che passa anche dal Brasile, laddove eravamo abituati a flussi aerei più contenuti.

La situazione politica e sociale del Brasile, vostro vicino, è particolarmente critica. Come si è espressa la Iglesia valdense dopo la procedura di impeachment illegale nei confronti di Dilma Rousseff, l’incarcerazione a seguito di un processo manipolato di Luiz Ignácio Lula da Silva, le politiche di Bolsonaro?

La nostra chiesa non interviene su questioni politiche e non prende una posizione partitica. Il nostro impegno è quello di cercare la verità e il rispetto del diritto. Oltretutto la Mesa valdense può manifestare la sua opinione solo dopo una riflessione congiunta e democratica del Sinodo. Non entriamo mai nel dettaglio di situazioni specifiche, ma offriamo il nostro apporto a partire da riflessioni più generali sul fondamentalismo religioso, sui diritti umani, sull’uso del potere e la manipolazione della fede. Come chiesa possiamo esprimerci con libertà dal nostro luogo di minoranza e quindi evitare di cadere proprio in quel fondamentalismo religioso che si lega alla politica o a un partito. La Mesa valdense ha, ad esempio, riflettuto molto sulla tutela dei diritti civili, sulla protezione delle minoranze.

Come funziona un Sinodo nel Rio de la Plata?

La maniera di lavorare è differente. La commissione d’esame presenta un report che è molto meno consistente di quello che usate in Italia, e sulla base di questo si comincia a lavorare con delle domande che agiscono come guida. Ci si divide in aree tematiche, con una rappresentanza regionale equilibrata, e da lì nascono gli ordini del giorno che vengono discussi e votati in plenaria.

Con che occhi la moderatora che viene dall’altra parte del mondo guarda alle dinamiche e ai processi del Sinodo che si è appena finito di svolgere?

Ci sono temi molto sensibili anche qui. E ho potuto percepire, dal dialogo pubblico in seno al Sinodo e dalle discussioni fuori dall’Assemblea, che non tutto è così fluido e che ci sono divisioni, anche profonde, rispetto ad alcuni temi sui quali la chiesa si è espressa con forza. Questo accade anche da noi ed è preoccupante. È importante lavorare nei territori e nelle nostre chiese locali per definire chi siamo come chiesa, chi sono i valdesi e qual è la nostra storia. Tornare alle origini, interrogarci su cosa significa essere una minoranza confessante, che cosa significa essere stati perseguitati, che cosa significa proteggere la libertà, lottare per i diritti. Tutto questo ci allontana dalla xenofobia razzista. Credo che sia necessario ricominciare a fare questo lavoro sulle nostre fondamenta, lavorare ancora sui nostri principi che a volte diamo per scontati. Per il resto, ogni volta che partecipo ad un Sinodo in Italia mi sembra di essere in Uruguay: stessi temi, stesse dinamiche, stesso modo di intervenire e discutere, stessa passione.

Foto di Pietro Romeo