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Agnes Abuom, moderatora del Consiglio ecumenico delle chiese: Ora basta violenza di genere!

La dottoressa Agnes Abuom è la prima a essere intervistata sul sito internet del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) nel nuovo ciclo di incontri redazionali dedicati alla Campagna internazionale del Giovedì in nero. Abuom – originaria del Kenya – è la moderatora del Comitato centrale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec). 

Anche il Sinodo delle chiese metodiste e valdesi tenutosi in Piemonte a Torre Pellice (To) ha fatto propria la «Dichiarazione sulla violenza sessuale e di genere e sul Premio Nobel per la Pace del novembre 2018» del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) e ha chiesto alle proprie chiese di aderire alla Campagna mondiale dei Giovedì in Nero a sostegno del movimento globale che si oppone a tutte le forme di ingiustizia e di abuso basati sul genere. All’uscita dall’aula sinodale per il pranzo, nel penultimo giorno di lavori (giovedì 29 agosto), i partecipanti al Sinodo delle chiese metodiste e valdesi (iscritti a ruolo, deputati, ma anche ospiti, osservatori, volontari, giornalisti) hanno posato per una foto (che accompagna la traduzione di questa intervista e scattata da Pietro Romeo) inconsueta. Molti indossavano abiti neri, qualcuno portava le collane-braccialetti di cotone rosso promosse dalla Federazione delle donne evangeliche (Fdei), altri le spillette dedicate. Ciascuno e ciascuna, a modo suo, aveva voluto accogliere l’appello lanciato dal Sinodo ad aderire alla Campagna dei Giovedì in Nero (#ThursdaysinBlack) e dimostrare con un piccolo gesto simbolico la propria sensibilità al tema della violenza di genere nelle sue forme più diverse: sopraffazione psicologica e fisica, discriminazione, matrimoni precoci, stupro come arma di guerra, femminicidio

Perché dottoressa Abuom ritiene che partecipare alla Campagna del Giovedì in nero sia necessario?

«Perchél’iniziativa del Giovedì in nero è una Campagna ecumenica che invita uomini e donne, in realtà tutte le persone di buona volontà, a unirsi nel dire un secco “no” alle sopraffazioni e a fermare la “pandemia” di violenze sessuali contro le donne. Donne che tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000 si sono incontrate sul tema della violenza sessuale e di genere a partendo dalle società colpite da conflitti e guerre per poi proseguire la riflessione e l’azione anche nel post conflitto. Analisi e ricerche che sono poi state rivolte anche alle comunità definite normali e nelle quali malgrado non vi siano mai state guerre la violenza di genere è sempre, e comunque, stata presente. Violenze sessuali, verbali, fisiche sono riscontrabili anche all’interno delle nostre chiese, delle nostre case e nelle pubbliche piazze, ed è per questo che mi spendo in prima persona e chiedo la collaborazione di tutti. La violenza contro le donne l’ho vista crescere ed è un cancro che si diffonde in tutto il mondo. Non esiste un solo Paese, una singola Nazione, una singola chiesa, che non possa testimoniare l’impatto dirompente di questa minaccia».

Cosa la preoccupa di più?

«Una delle mie più forti preoccupazioni è che possa attecchire una sorta di normalizzazione di questo fenomeno: una normalità anormale. Questa normalizzazione, grazie anche a una carente legislazione in materia, sta attecchendo in molte società e questo è grave. Mi preoccupa altresì, il fatto che nelle chiese spesso non si affronti con la dovuta attenzione l’impatto della violenza sessuale e di genere. Molte società sono oggi traumatizzate e compromesse da questi terribili atti. Una donna colpita da questo trauma perde dignità, capacità relazionali. Non possiamo più accettare le violenze, far finta di non vedere che piccole bambine, bambini, donne, possano essere violate da “uomini”, persone che dovrebbero essere i protettori e garanti della vita e che invece diventano violenti aguzzini».

In che modo la nostra fede affronta tutto questo?

«Il nostro mandato cristiano è quello di operare per la giustizia e la pace. La violenza sessuale e di genere non può essere tollerata, non può esserci pace per essa. Ma il nostro mandato, il mio mandato come donna cristiana, è denunciare e contrastare la violenza per far giungere la pace (quella che il nostro Signore ha promesso) a coloro che sono state vittime di violenze».

Qual è l’invito che rivolge a chi ci legge?

«Partecipare e aderire a questa Campagna, come hanno già fatto le nostre chiese membro. Un’altra strada è quella di parlare e di confrontarsi con le persone che sono impegnate nel movimento anti-violenza. 

La mia speranza è poter giungere un giorno a non dover più indossare capi d’abbigliamento di colore nero, perché non ci saranno più violenze sessuali e di genere. Perché le nostre chiese dicendo “basta” e accompagnando le persone più vulnerabili e vittime di violenze avranno mostrato la loro capacità di muoversi nel cammino verso la pace e la giustizia. Perché grazie alla nostra fede le chiese saranno state in grado di mostrare la mascolinità positiva». 

La decisione del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi rispetto ai Giovedì in Nero e al documento sulla violenza si aggiunge ad altre iniziative adottate dalle chiese valdesi e metodiste negli ultimi anni, quali l’adesione alla campagna del “Posto occupato”, la firma in Senato, insieme ai rappresentanti di altre denominazioni cristiane, dell’Appello ecumenico contro la violenza sulle donne, fino alla recente costituzione a Bologna dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne, cui hanno partecipato per la componente evangelica: metodiste, valdesi, battiste, luterane, avventiste e pentecostali. 

#ThursdaysinBlack è una Campagna che nasce dal Decennio delle Chiese in solidarietà con le donne (1988-1998), ed è stata ispirata dalle Madri de Plaza de Mayo di Buenos Aires, dalle Donne in nero in Israele e in Palestina, dalle donne in Ruanda e in Bosnia.

Foto di Pietro Romeo