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Una vendetta nel Mediterraneo

Negli ultimi giorni, la nave Mare Jonio, gestita dalla ong italiana Mediterranea Saving Humans, è stata al centro di un nuovo capitolo della difficile stagione per chi opera salvataggi di persone nel Mar Mediterraneo.

Dopo l’evacuazione di urgenza nella giornata di domenica di tre persone e il peggioramento delle condizioni meteo, la Guardia Costiera aveva deciso di far sbarcare per motivi sanitari i 31 naufraghi rimasti a bordo della Mare Jonio, che da giorni era ferma al confine delle acque territoriali italiane per via del decreto sicurezza Bis.

Tuttavia, dopo lo sbarco, nella giornata di mercoledì 3 settembre la Guardia di Finanza ha posto l’imbarcazione di Mediterranea Saving Humans sotto sequestro. «La cosa più importante – racconta Alessandra Sciurba, portavoce della ong italiana – è che finalmente tutte le persone soccorse sono state portate a terra senza che per questa ragione sia stato denunciato un comandante, o arrestato qualcuno. Sono passati cinque giorni molto difficili per chi era a bordo, ma è arrivata una soluzione che non si vedeva da più di un anno in questo Paese. Questo rimane».

Tuttavia, a questa decisione ha fatto seguito il sequestro e la multa di 300.000 euro per il comandante. Come vi spiegate questa decisione, anche alla luce del fatto che il divieto di ingresso in acque territoriali non è mai stato violato?

«Evidentemente c’è qualcuno che non ha tollerato che questa storia potesse finire così, con nessun danno, con nessuna punizione per avere salvato delle vite. C’è stato un colpo di coda surreale».

Ripercorriamo i fatti per come si sono sviluppati: come si è proceduto a bordo?

«Quando le persone sono sbarcate tutte, nel pomeriggio abbiamo cominciato a chiedere anche per mare Ionio e per il nostro equipaggio di poter fare ingresso in porto. In serata è arrivata l’autorizzazione della Guardia Costiera, un’autorizzazione netta, cioè con le coordinate, ci è stato detto di fermarci al punto di fonda, cioè di entrare nelle acque territoriali, ridossarci all’isola per poi entrare il mattino successivo, quando il traghetto si fosse spostato, tutto questo attraverso comunicazioni formali e registrate. Noi nel frattempo avevamo chiesto a tutte le autorità cosa fare una volta decaduto il tema del decreto, perché tutti i naufraghi erano sbarcati. Quindi c’era questo vuoto giuridico in cui nessuno sapeva bene cosa fare. Poi, le autorità competenti ci hanno detto di entrare, quindi abbiamo avuto un’autorizzazione formale all’ingresso e siamo entrati in acque territoriali alle 20:40».

A quel punto che cos’è successo?

«A mezzanotte ci ha affiancato una motovedetta della Guardia di Finanza, quindi un altro corpo, che evidentemente ha risposto più direttamente all’Autorità che voleva colpirci, e ha prelevato il nostro comandante, poi l’ha portato in caserma dove è stata notificata una multa da 300 mila euro e il sequestro amministrativo di Mare Jonio».

Come si giudica questa decisione?

«È una vendetta che fa quasi pietà, è talmente paradossale che non c’è dubbio di come andrà a finire in ogni sede giudiziale: diciamo che abbiamo l’imbarazzo della scelta rispetto a quale misura giuridica adottare e non solo per ripristinare il fatto che non c’è nessuna punizione da dare a chi salva e tantomeno in situazione come questa, ma anche per farci risarcire del danno che stiamo subendo, però chiaramente qui si tratta di un ultimo colpo di coda, una triste vendetta che rischia comunque di tenere la nostra nave lontana dal mare qualche giorno o qualche settimana, mentre sappiamo bene che cosa succede nel Mediterraneo. Noi abbiamo fatto un salvataggio di 98 persone di cui 22 bambini piccolissimi, e mentre ero a Lampedusa per sbloccare la situazione è arrivato un altro gommone, per miracolo, con una sessantina di persone e tantissimi altri bambini. In questo momento ci sono profughi di guerra, soprattutto famiglie e donne con bimbi che stanno scappando come possono dalla Libia: tenere una qualunque delle navi della società civile bloccata inutilmente per capriccio, per dispetto, vuol dire avere sulla coscienza anche chi annega nel silenzio perché non ci sono navi istituzionali. È una vendetta ridicola ma che appunto aggrava ancora di più la responsabilità di chi in questi ultimi mesi, in questo anno e mezzo, ha avviato questa assurda guerra contro chi salva le vite umane».

Ora in Italia si sta formando un nuovo governo, con una maggioranza differente. Qual è la richiesta che arriva dal Mediterraneo a questa nuova esperienza politica, ammesso che si muova?

«Purtroppo non credo che i cambiamenti profondi di cui il Paese ha bisogno avvengano così dall’alto. Direi però che il cambiamento che è già avvenuto e che sta contribuendo anche a chiudere l’incubo degli ultimi 14 mesi è quello che è nato da una società civile che ha sempre resistito e di cui le navi che hanno attraversato il Mediterraneo sono una componente fondamentale anche in termini simbolici oltre che materiali. Parliamo di una società civile che non si è venduta l’anima e ha continuato a mettere davanti a tutto non solo la priorità della vita e della dignità degli esseri umani, ma anche la certezza che i diritti non siano un gioco a somma zero: non è togliendoli agli altri che ce li avremo noi, i diritti sono una conquista comune. Questo cambiamento culturale deve essere assunto dalle istituzioni e dev’essere un cambiamento profondo anche rispetto a quello che c’era prima di quest’ultimo governo durato quattordici mesi. Ieri sentivo in una trasmissione televisiva l’ex ministro Marco Minniti rivendicare in qualche modo le sue politiche nel Mediterraneo, dicendo che erano molto diverse da quelle del ministro Salvini».

Lo erano davvero?

«Lo erano rispetto ai porti, ma niente affatto rispetto alla Libia: non sono i decreti sicurezza che hanno concesso a delle milizie che si travestono da Guardia costiera di catturare i profughi di guerra in mare e riportarli in quei luoghi di torture. È stato invece un memorandum d’intesa con quel Paese firmato dal Governo Gentiloni. Un cambio di passo significa smettere di inseguire le paure della gente che i politici costruiscono e invece davvero mettere al centro il rispetto dei diritti e usarli come linea guida, perché non lo ha fatto neanche il governo che c’era prima prima di questo ultimo».

In realtà il problema nasce ancora più a monte, ovvero dalla cancellazione di ogni via legale d’accesso realizzata negli scorsi decenni.

«Questo è quello che bisogna fare: aprire canali di ingresso legali regolari, il che significa anche dover investire molto meno nell’accoglienza, perché noi vediamo delle persone che diventano vittime di tratta e profughi di guerra perché la Libia è diventato l’unico canale d’ingresso verso l’Europa. Queste politiche migratorie, con la chiusura di tutte le altre vie, hanno costretto persone che avevano certamente delle storie difficili nel loro paese ma non così tragiche a restare bloccate due, tre o persino quattro anni in Libia, a subire qualsiasi cosa e quindi ad arrivare poi in condizioni che necessitano una presa in carico completamente diversa. Se ci fossero vie d’accesso legali sarebbe una sicurezza per tutti, anche perché le persone sono molto liete di farsi identificare quando possono entrare con i loro piedi e sarebbe una grande finalmente un grandissimo colpo al traffico degli esseri umani, che è estremamente agevolato dalle politiche migratorie italiane ed europee. Per ogni frontiera che si chiude c’è un trafficante che festeggia».

Questa è anche l’accusa che viene mossa alle organizzazioni che operano i salvataggi in mare. Come si risponde?

«Rimbalzo il pregiudizio, la stupidità, la calunnia secondo cui le navi della società civile sarebbero colluse con i trafficanti: noi siamo l’unica spina nel fianco di chi traffica gli esseri umani, perché quando arriviamo noi sottraiamo veramente le persone dal traffico, le portiamo nei porti sicuri e non saranno mai più vittime di tratta, di estorsioni o di stupri. Per come invece funzionano adesso le politiche europee, la chiusura delle frontiere, gli accordi con Paesi come la Libia non fanno altro che favorire il traffico di esseri umani. Il cambiamento deve essere anche solo tornare alla ragionevolezza, alla verità delle cose. Vorremmo un governo capace di governare l’Italia senza inventarsi emergenze che non ci sono e strumentalizzare le paure della gente».