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“Professione” pastore

Che cos’hanno in comune una giornalista, una psicologa e un pastore? Tutti e tre fanno un “mestiere” che si basa sulla comunicazione e sulla relazione interpersonale, e tutti e tre hanno un ruolo che, se svolto in modo scorretto, può portare alla manipolazione dell’altra persona. Da qui l’importanza di avere un Codice deontologico: da oggi anche gli iscritti e le iscritte ai ruoli della Tavola valdese, pastori e pastore, diacone e diaconi, ce l’hanno.

Nel corso dell’ultimo Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, infatti, conclusosi venerdì scorso a Torre Pellice, dopo circa tre decenni di discussioni è stato approvato il documento presentato nell’incontro degli iscritti al ruolo di mercoledì sera, dalla segreteria dell’assemblea degli iscritti e delle iscritte a ruolo. Il giorno seguente ne è stata data comunicazione all’assemblea sinodale, ma senza un’approvazione formale da parte di quest’ultima. Qual è il significato di questo, al di là degli aspetti tecnici? Come sottolineano alcuni membri della segreteria, composta da Hiltrud Stahlberger, Michel Charbonnier, Marco Fornerone (pastori), Karola Stobäus e Massimo Long (diaconi), si tratta di un documento di autoregolamentazione, non calato dall’alto, da una decisione delle autorità (Tavola o Sinodo) ma elaborato dagli stessi addetti ai lavori. 

Il documento, che entrerà subito in vigore e sarà disponibile sul sito www.chiesavaldese.org, nasce, spiega Marco Fornerone, che ne ha curato la stesura, «da una riflessione ampia nella Chiesa, che risponde a un’accresciuta ed evoluta sensibilità su questi temi: abbiamo consapevolezze diverse, visioni diverse dei rapporti e delle relazioni e in qualche modo anche del ministero. Il codice deontologico è uno strumento utile per gli iscritti e le iscritte a ruolo, ma anche per tutta la Chiesa, che non tutela solamente i primi ma anche le persone affidate alla cura pastorale, in particolare i minori, e qui ci si ricollega a un documento già approvato dal Sinodo, le Linee guida per la tutela dei minori e la prevenzione degli abusi».

Oltre alla parte principale dedicata alle relazioni nell’esercizio del ministero, si approfondisce il tema della comunicazione, «vigilando sul linguaggio d’odio, sulla diffusione di notizie false e facendosi promotori di una comunicazione non violenta e costruttiva». Un’altra parte, spiega Fornerone, è dedicata al profilo del ministero, alla necessità, per esempio, «di una condotta coerente in tutti gli ambiti della vita, non solo negli spazi strettamente lavorativi», con indicazioni pratiche anche sugli aspetti amministrativi e sul «non facile ma necessario equilibrio tra vita privata e ministero». Infine, non meno importante, la formazione permanente. Assumendo una decisione adottata negli anni scorsi, l’obbligatorierà di una formazione “professionale” continua, questa viene formalizzata attraverso il sistema dei crediti (100 in 3 anni), supervisionato dalla segreteria dell’assemblea degli iscritti.

Per la redazione del Codice «il primo riferimento – spiega Fornerone –, oltre alle nostre Discipline, è stato il documento redatto dalla commissione del Corpo pastorale per la deontologia». Si è poi fatto riferimento «a codici di Chiese sorelle estere, ad esempio per la parte sulla comunicazione al recente documento della Chiesa protestante unita di Francia, o documenti simili delle chiese tedesche, della Chiesa presbiteriana di Scozia e delle chiese metodiste». Spunti utili sono emersi anche dai codici deontologici di altre professioni (giornalisti, psicologi) che «hanno aspetti confinanti con il ministero pastorale, quali la comunicazione e la relazione personale».

Comincia ora un anno di sperimentazione, si prevedono già modifiche e integrazioni, aspetti da approfondire, che emergeranno nel momento in cui ci si confronterà con casi concreti.

Foto: Pietro Romeo