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Umiltà e fiducia per il nostro compito di credenti

Dopo l’approvazione degli ultimi ordini del giorno in calendario, il Sinodo è passato a una lunga tornata elettorale per il rinnovo delle cariche, tra cui spicca l’elezione della moderatora Alessandra Trotta, che succede così al pastore Eugenio Bernardini nella conduzione dei lavori della Tavola valdese (vicemoderatora è stata eletta la pastora Erika Tomassone). Porre l’accento sulla collegialità delle strutture decisionali della Chiesa valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi è importante (anche se non sempre questa caratteristica è ben compresa nell’opinione pubblica), ed è stato ribadito proprio dalla moderatora neoeletta, nel suo discorso a conclusione della sessione sinodale. (Qui il testo integrale)

«La Parola parla ad ogni singolo – ha detto Trotta – , lo chiama, lo converte, lo rinnova e fortifica, ma non per isolarlo nel suo “io con Dio”, ma per fargli assumere una responsabilità per un “noi”, per la comunità umana nella quale soltanto ognuno può vivere veramente la dimensione di pienezza cui è destinato». Se l’assunzione di responsabilità si può manifestare in forma collegiale e collettiva, non è però per merito nostro: «È nell’incontro con il Dio di Gesù Cristo che la contrapposizione fra singolo e comunità, fra diritti individuali e sociali, fra benessere personale e bene comune si può davvero sciogliere in un equilibrio virtuoso. La comunità non assorbe il soggetto fino a cancellarlo nella sua specialità e individualità unica; e l’individuo non si concepisce come il centro del mondo al quale asservire gli altri, in un’illusione di autonomia egoistica».

Il Dio di Gesù Cristo si manifesta nella croce, troppo spesso intesa come summa delle sofferenze umanamente intese. La croce è invece un evento che spezza, che segna una cesura e ribalta le logiche delle nostre relazioni: anche nel servizio, irrompendo, «muta lo status di chi serve e muta lo status di chi è servito». La comunità cristiana deve farse partecipe di questa grazia e saperla vivere nell’unità: una partecipazione – ancora una volta – di tutte le parti del corpo «alla fatica della costruzione comune».

Questa visione del lavoro e della vocazione della chiesa è stata preceduta, nel discorso di Alessandra Trotta, da un bello e coinvolgente racconto della propria formazione: della benedizione che è stata il crescere nella fede, nell’infanzia, nella giovinezza, fino ai primi incarichi. Lei stessa ha ripercorso gli incarichi avuti, con la direzione del Centro diaconale La Noce a Palermo, con l’impegno nel Comitato permanente dell’Opera per le chiese metodiste in Italia e la presidenza di quest’ultimo, e ancora nell’Ufficio affari legali della tavola valdese e come coordinatrice del gruppo di lavoro per la tutela dei minori. Un impegno dunque che viene da lontano, ma che vive nell’oggi: «Non renderemmo onore alle generazioni che ci hanno preceduto, se sfuggissimo alla responsabilità di leggere i segni dei nostri tempi e di interpretare le sfide dell’oggi». E questo si preannuncia, fin dai prossimi giorni, come una grande sfida, vissuta però nella fede. Come ha detto in conclusione del suo discorso, due parole serviranno per «essere davvero il meglio di ciò che siamo chiamati ad essere». L’umiltà e la fiducia: una fiducia che «si costruisce (…) con una collaborazione leale che parta dal riconoscimento reciproco, un pregiudizio positivo (questa è in fondo la fiducia) sull’impegno dell’altro, sulla sua sincera ricerca di fare ciò che è meglio e di farlo a partire dal confronto autentico con la parola di Dio».

Foto di Pietro Romeo