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Nigeria: Boko Haram davvero sconfitta?

«Boko Haram come lo abbiamo conosciuto finora non esiste più». Sono per un verso confortanti e dall’altro ambigue le parole pronunciate martedì dal portavoce del presidente della Nigeria Garba Shehu, a dieci anni esatti dall’uccisione, in circostanze ancora poco chiare, durante l’arresto da parte della polizia, di Mohammed Yusuf, fondatore dell’organizzazione terroristica, il cui nome in hausa significa «L’educazione occidentale è tabù», che per un decennio ha imperversato soprattutto nel nord-est del Paese, diffondendosi anche in Mali, Burkina Faso e Niger.

L’uccisione di Yusuf è considerata l’inizio dell’ascesa di Boko Haram, formatosi all’inizio degli anni Duemila canalizzando le frustrazioni di giovani uomini disoccupati e insoddisfatti da un governo corrotto e inefficiente, che nell’ultimo decennio ha fatto circa 27.000 morti e più di due milioni di profughi.

Lo stato di emergenza viene dichiarato nel 2013, e negli anni centinaia di ragazze (tra cui molte studentesse, ricordiamo ad esempio il rapimento nel 2014 di 276 ragazze da Chibok, 100 delle quali sono tuttora scomparse, vedi l’articolo qui), ragazzi e uomini vengono rapiti per diventare schiave sessuali, soldati e kamikaze.

Nel 2016 Boko Haram si divide in due fazioni, una delle quali direttamente affiliata allo Stato islamico (Isis), e più volte viene dichiarato che grazie al governo del presidente Muhammadu Buhari il paese è più sicuro che nel 2015 e che «Boko Haram è stato tecnicamente sconfitto». Ma molti non concordano con questa fiducia, e anche oggi, dopo l’ultimo annuncio, gli analisti ritengono che la guerra sia lungi dall’essere terminata. Anche se il movimento che un tempo controllava metà della Nigeria ora è confinato in aree marginali, le zone rurali degli stati di Borno, Adawama e Yobe, il Paese deve confrontarsi con «un miscuglio»di residui non solo di Boko Haram ma «di gruppi criminali e jihadisti del Maghreb e dell’Africa occidentale, arrivati dopo la crisi in Libia e la sconfitta dello Stato islamico in Medio Oriente» (lo si leggesul sito di informazione svizzero 24heures.ch). In seguito a questo, nel Paese si è riscontrato «un aumento dei crimini transfrontalieri e la proliferazione delle armi leggere nel bacino del lago Ciad [al confine fra Nigeria, Ciad, Camerun e Niger]», ed è lo stesso comunicato presidenziale che annunciava la sconfitta di Boko Haram ad ammetterlo.

Ulteriore preoccupazione desta la notizia diffusa da diversi giornali (tra cui La Croix, The New York Times, The Guardian, The Washington Post) che sabato 27 luglio 65 civili di ritorno da un funerale sono stati uccisi in un villaggio nei pressi di Maiduguri (capitale dello stato federale di Borno, uno di quelli in cui Boko Haram è ancora attivo), «in una indifferenza che guadagna terreno […] creando un macabro effetto di assuefazione»,come scrive il francese La Croix.

Sembra che si sia trattato di un atto di ritorsione perché (si legge invece sul Washington Post) due settimane prima 11 sospetti membri di Boko Haram erano stati uccisi in uno scontro con gli abitanti del villaggio perché accusati di rubare le mucche e i loro prodotti. E circa un mese prima, in giugno, attentatori suicidi appena adolescenti avevano ucciso almeno 30 persone. 

Ecco perché l’attenzione deve restare alta e il ruolo delle chiese è fondamentale, come testimonia la Chiesa metodista unita della Nigeria che assiste le vittime della violenza nella zona di Jalingo, nel nord della Nigeria, dove sorgono dieci campi profughi, con una popolazione stimata di 7000 persone. La Chiesa è impegnata dal 2018 insieme al United Methodist Committee on Relief(Umcor), organizzazione umanitaria per lo sviluppo globale con sede negli Usa (Georgia),fornendo sostegno pastorale (cura spirituale, counseling e studi biblici) a chi lo richiede, oltre a beni alimentari, medicine, vestiti, zanzariere, materiali per l’igiene, raggiungendo circa 1000 famiglie in 17 comunità degli stati di Benue, Taraba, Nasarawa e Adamawa. L’Umcor ha stanziato il mese scorso 10.000 dollari per rispondere alla crisi sanitaria e alimentare e aiutare 500 persone costrette a fuggire per gli attacchi nelle zone di Jalingo e di Ardokola. 

«Sono shoccato dalla crescita di attacchi a persone innocenti», ha dichiarato il leader della Umc della Nigeria, il vescovo John Wesley Yohanna, durante una visita recente a Jalingo e ha aggiunto: «Come metodisti uniti, siamo vicini in preghiera alle famiglie colpite e invitiamo i membri della Chiesa metodista unita ad accogliere i nostri fratelli e sorelle che fuggono dagli attacchi. Voglio chiedere al governo di agire prontamente per ridare sicurezza a queste comunità». Non sono le parole di una persona che crede che Boko Haram è stata sconfitta.

Foto via Istock