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Eredità verdi tra Amazzonia e Africa

L’albero è spesso considerato un simbolo di vita, e la realtà non è così lontana dalla metafora: le foreste, in particolare quelle lungo l’Equatore, assorbono attraverso le foglie un’enorme quantità di anidride carbonica, uno dei principali agenti del riscaldamento globale, oltre ad agire come regolatrici delle precipitazioni.

Eppure, ogni minuto un luogo chiave come la Foresta amazzonica perde una porzione di superficie pari a un campo da calcio. A dirlo sono le immagini satellitari analizzate dall’Inpe, l’Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile. Il ritmo della deforestazione è raddoppiato da quando si è insediato il governo di Jair Bolsonaro, il presidente eletto alla fine del 2018 con la promessa, tra le tante, di ridurre i vincoli per gli allevatori e gli imprenditori in Amazzonia. Bolsonaro, rappresentante dell’estrema destra e del mondo della finanza, ha quindi deciso di invertire la tendenza attestata negli ultimi quindici anni, quando al Palácio do Planalto di Brasilia sedevano i rappresentanti del PT, il Partito dei lavoratori, che aveva cercato di ridurre la deforestazione attraverso un lavoro coordinato delle agenzie federali a scopo preventivo e un sistema di multe e di provvedimenti repressivi. Con Bolsonaro, questa politica è cambiata, in linea con la posizione negazionista sul cambiamento climatico che accomuna il presidente brasiliano alla cosiddetta alt-right statunitense, al punto da accusare la propria agenzia spaziale di mentire solo per rovinare la reputazione internazionale del Brasile.

Diecimila chilometri più a est, in Africa, c’è invece un Paese che vuole andare in direzione contraria: l’Etiopia di Abiy Ahmed Ali, che lunedì 29 luglio ha annunciato di aver cominciato a costruire un’eredità verde per le future generazioni piantando 350 milioni di alberi in dodici ore. L’iniziativa è il primo passo di un progetto più ampio, chiamato appunto Green legacy, che prevede da qui alla fine dell’estate la semina di quattro miliardi di alberi, 40 per ogni cittadino etiope, in uno sforzo che ha lo scopo di contrastare la deforestazione e mitigare il cambiamento climatico in un Paese che da anni soffre di sistematiche siccità e disastri ambientali in cui l’uomo gioca un ruolo da protagonista: un secolo fa il territorio etiope era coperto al 35% da foreste, oggi è soltanto il 4%.

Secondo i ricercatori del Politecnico federale di Zurigo, considerato uno tra i più importanti centri di ricerca al mondo, piantare alberi è nettamente lo strumento più potente ed economico per contrastare la crisi climatica, fino ad assorbire due terzi delle emissioni globali legate all’attività umana.

La ricerca, realizzata nel 2019 dall’istituto svizzero e guidata dal professor Tom Crowther, si basa sull’analisi delle immagini satellitari e l’incrocio delle immagini con dieci differenti categorie di terreno, fattori climatici e topografia, e ha provato a calcolare quanti alberi potrebbero essere piantati senza danneggiare le coltivazioni o le aree urbane.

La conclusione è che ci sono almeno 1,7 miliardi di ettari di terreni privi di alberi e nei quali le condizioni climatiche potrebbero permettere di piantare 1.200 miliardi di alberi. Si tratta dell’11% delle terre emerse, un territorio pari alla somma di Stati Uniti e Cina messi insieme. In una precedente ricerca, Crowther aveva calcolato con lo stesso sistema che nel mondo oggi ci siano circa 3.000 miliardi di alberi, circa la metà rispetto all’epoca preindustriale, e che dieci miliari di piante vengano rimosse ogni anno.

Anche se il suo potenziale è enorme, la semina di nuovi alberi non può tuttavia essere vista come la soluzione universale alla crisi climatica, innanzitutto perché richiede molto tempo, circa un secolo, prima di entrare a regime, e il tempo rimane un fattore fondamentale proprio perché sta per scadere. Inoltre, non tutti concordano sulle stime pubblicate da Crowther, secondo cui la capacità di assorbimento dei nuovi alberi è di circa 200 miliardi di tonnellate di carbonio. Simon Lewis, ricercatore dello University College di Londra, afferma che il carbonio già presente nel terreno prima che l’albero venga piantato non è stato inserito nel calcolo e che secondo l’Ipcc, Intergovernmental Panel on Climate Change, il potenziale di assorbimento a regime sia soltanto di 57 miliardi di tonnellate. Ma il vantaggio, secondo il gruppo di ricerca guidato da Crowther, è che questa «è una soluzione climatica che non richiede che il presidente Trump decida immediatamente di credere nel cambiamento climatico», aggiungendo che la tecnica «è disponibile sin da subito, è la più economica e chiunque di noi può essere coinvolto». La metà delle aree in cui potrebbe avvenire la riforestazione è concentrata nel sei Paesi più grandi del mondo: Russia, Canada, Cina, Stati Uniti, Brasile e Australia.

In realtà, esiste già un’iniziativa di riforestazione chiamata Bonn Challenge, che nasce nel 2011 con l’obiettivo di ristabilire 150 milioni di ettari di superficie deforestata entro il 2020 e 350 milioni di ettari entro il 2030. All’iniziativa aderiscono 48 Paesi, tra cui proprio l’Etiopia, e a oggi l’obiettivo previsto per il prossimo anno è stato raggiunto e ampiamente superato, dando qualche speranza a un’iniziativa dal valore non soltanto simbolico.

Intanto, mentre leggevate questo articolo, quattro ettari di foresta amazzonica hanno smesso di esistere.