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Le chiese protestanti degli Stati Uniti contro la pena di morte federale

Gli Stati Uniti ripristinano la pena di morte per le persone condannate dai tribunali federali, che sono altra cosa rispetto alla possibilità concessa a ognuna dei 50 Stati che compongono la nazione di attuare o meno moratorie in materia. Sono 29 gli Stati in cui la pena capitale è ancora in vigore, mentre le esecuzioni federali sono ferme dal 2003. Non certamente perché abolite, ma per una sorta di moratoria delle esecuzioni cui ora il presidente Donald Trump vuol porre fine. Il ministro della Giustizia statunitense, William Barr, ha annunciato di aver chiesto alla direzione delle carceri di avviare le procedure di esecuzione per cinque detenuti che si trovano nel braccio della morte. La pena capitale negli Stati Uniti è rientrata in vigore a livello federale dal 1988, dopo che la Corte Suprema l’aveva nei fatti messa al bando ovunque dal 1972. Cambierà anche la procedura legata all’iniezione letale: dal cocktail di tre farmaci si passerà alla somministrazione del solo Pentobarbital, questo perché molte case farmaceutiche hanno interrotto la produzione dei farmaci necessari. La motivazione ufficiale del ripristino è legata alla gravità dei reati commessi da cinque detenuti. 

Il Consiglio Nazionale delle Chiese si oppone alla decisione del Dipartimento di Giustizia di ripristinare la pena di morte federale e di programmare l’esecuzione di cinque persone: «Affermiamo ancora una volta la nostra posizione secondo la quale la pena di morte è sia una violazione della dignità che del valore degli esseri umani, e ha anche dimostrato di essere inefficace come deterrente (la nostra dichiarazione in materia porta la data del 13 settembre 1968).

Inoltre, la pervasività del razzismo sistemico e del classismo intrinseci all’interno del processo legale penale significa che la pena di morte non è né giusta né corretta. In effetti, sappiamo che centinaia di persone che sono state condannate a morte – o effettivamente giustiziate dallo Stato – sono state in seguito giudicate innocenti. In un momento in cui gli Stati stanno cessando questa pratica abominevole, è orribile che il governo federale cerchi di rianimarla.

La nostra fede cristiana ci rende chiara che la vita e la dignità della persona umana sono doni sacri di Dio e come tali non devono essere violati.

L’uccisione istituzionalizzata contribuisce alla brutalizzazione della società. Una decisione così atroce non dovrebbe essere lasciata alla discrezione degli esseri umani. Inoltre, la società è servita meglio da un sistema di giustizia riparativa: poiché tutti sono fatti a immagine di Dio, siamo fermi nella nostra convinzione di cristiani che tutti possono essere redenti».