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Docu-serie

Erano iniziati gli anni Novanta e milioni di statunitensi non uscivano di casa perché gli schermi d’America si sintonizzavano su qualcosa di nuovo, di diverso: un format che di lì a poco avrebbe preso il nome di serie tv.

I tempi in cui David Lynch portò nelle case degli americani Twin Peaks sembrano lontanissimi, realizzando che a oggi le serie tv di cui si può disporre a livello internazionale sono tantissime, diverse tra loro per generi, argomenti trattati, durata e distribuzione.

Ma è sempre vicino e reale l’impatto che questo nuovo tipo di intrattenimento ha portato nella nostra quotidianità: milioni di persone che a ogni uscita iniziano una nuova avventura, dibattono, si appassionano e ne diventano quasi dipendenti. Un attaccamento intenso con i personaggi, la trama e l’intero “pacchetto” tanto da aver portato al fenomeno riconosciuto come binge watching: pratica che consiste nel guardare uno dopo l’altro gli episodi della propria serie preferita.

Vampiri, vichinghi, la vita di un gruppo di ostetriche negli anni Cinquanta, bullismo nei licei americani, cantanti in erba, seconda guerra mondiale, rapine in Spagna, isole deserte, corsie d’ospedale e molto altro sono solo alcuni dei temi e delle ambientazioni che hanno fatto e stanno facendo appassionare i telespettatori di tutto il mondo.

E se le serie tv sono diventate il pane quotidiano delle conversazioni dei nostri ultimi 5-10 anni, sui vari display su cui oggi realizziamo praticamente di tutto è arrivato un nuovo genere: la docu-serie. La crasi tra il documentario classico e la serie tv.

Una novità assoluta che ha investito le piattaforme digitali di serie tv (Netflix, Now tv) e le produzioni internazionali (Rai, HBO, Amazon) e che è stata accolta dall’opinione pubblica con entusiasmo e curiosità.

Negli ultimi mesi sono state due le docu-serie che hanno avuto un riscontro internazionale inaspettato, positivo e meritato.

La prima è When they see us, prodotta da Netlifx. La storia vera di cinque ragazzi afroamericani e ispanici fra i 14 e i 16 anni condannati ingiustamente in primo grado con l’accusa di aver violentato e picchiato una donna bianca di 28 anni in Central Park nel 1989. Un fatto di cronaca conosciuto come “il caso della jogger” raccontato in quattro episodi che dimostrano come, in un sistema corrotto dal razzismo e dall’incuria giuridica, pur non essendoci alcuna prova a carico dei cinque ragazzi inevitabile per loro fu lo scontare una pena inesistente.

La seconda è Chernobyl, prodotta dall’americana HBO e tratta dal libro Preghiera per Chernobyl del premio nobel Svetlana Alexievich. A oltre 30 anni di distanza, con una raccolta magistrale e straordinaria di testimonianze, in cinque puntate si racconta e dimostra quello che è stato il peggior disastro nucleare e come donne e uomini si sono sacrificati per contenerlo.

Quello delle docu-serie è un successo strabiliante dovuto a due fattori particolari: le storie che vengono raccontate sono reali e coinvolgono gli spettatori in maniera particolare. Pur già conoscendo come andrà a concludersi la trama (l’esplosione della centrale nucleare) si vogliono conoscere fino in fondo le dinamiche dei fatti e come ne reagiranno i personaggi.

In secondo luogo, queste storie vere, riportano alla luce questioni che hanno interessato periodi storici che chi ora segue sullo schermo probabilmente non ha vissuto in prima persona, ma risultano essere utilissime per un ruolo di memoria ed educazione. Venire a conoscenza dei testimoni di Chernobyl, dei volontari che si sono sacrificati per ripulire il territorio contaminato o degli scienziati che hanno studiato e trovato una soluzione è fondamentale tanto quanto capire le dinamiche razziste e discriminatorie ancora reali nell’Ameria di Trump o la nascita di un movimento come #BlackLivesMatter.

Sono storie che a anni di distanza hanno riscattato i personaggi coinvolti – i cinque ragazzi di Central Park ora sono uomini adulti che dopo aver scontato fino a 13 anni di carcere sono in libertà e raccontano la loro storia drammatica. E hanno anche permesso di scoprire la verità delle dinamiche all’interno dei tribunali americani negli anni ’80 e degli errori svolti all’interno di una centrale nucleare.

Ed è anche vero, però, che ogni storia, quando viene alla luce, anche tramite una serie tv e a distanza di anni porta delle conseguenze. Positive o negative che siano. È dello scorso giugno la notizia di un uomo, Nagashibay Zhusupov, che dopo aver guardato la serie Chernobyl con le lacrime agli occhi si è lanciato dal quinto piano di un palazzo in Kazakhstan: si pensa che Zhusupov si sia suicidato perché dopo essere intervenuto nel 1986 per limitare la diffusione delle radiazioni, si è visto negato l’alloggio popolare che invece era stato dato agli altri veterani.

Ed è sempre a poca distanza dall’uscita di When they see us whla notizia che la procuratrice americana Elizabeth Lederer, pm principale nel processo dei Central Park Five, ha rassegnato le dimissioni come docente dalla Columbia Law School ed è stata scaricata dalla casa editrice per cui aveva pubblicato un ingente numero di libri gialli.