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«Come un uragano»

I temuti “raid contro i migranti” (ne avevamo accennato qui), annunciati dal presidente Trump per il 23 giugno, con la minaccia di espulsione di «milioni di clandestini», sono stati attuati la scorsa domenica, sebbene non con gli effetti temuti, nelle città di Atlanta, Denver, Houston, Los Angeles, Miami, San Francisco, Baltimora, Chicago, New York (anche se nelle ultime tre non risultano episodi).

Circa 2000 persone «di recente immigrazione e senza documenti» erano oggetto del provvedimento, che però potrebbe estendersi a circa un milione di persone: in particolare, secondo quanto dichiarato alla Cnn da Ken Cuccinelli, direttore del Citizenship and Immigration Services-USCIS (l’agenzia governativa interna al Dipartimento di Sicurezza, che gestisce la materia insieme all’Immigration and Customs Enforcement-Ice, e al Customs and Border Protection-Cbp), si tratta di criminali violenti, già oggetto di ordini di espulsione da parte dei tribunali, quindi non persone che “semplicemente” hanno attraversato illegalmente il confine, ma Cuccinelli ha ammesso che sono coinvolte anche famiglie.

Subito sono partite manifestazioni di protesta, dichiarazioni da parte dei sindaci delle città coinvolte, delle comunità religiose e delle organizzazioni di advocacy che hanno offerto il loro sostegno, informando gli immigrati sui loro diritti e su che come comportarsi, per cercare di fronteggiare l’ondata di paura. Molte persone si sono infatti barricate in casa con scorte di cibo, «come in previsione di un uragano»; ha dichiarato una mamma nicaraguense.

Il nucleo della questione sembra proprio questo, la paura e il senso di panico, più che l’effettiva messa in atto delle “deportazioni”. Bisogna infatti dire che l’attuale presidente non ha al momento espulso più persone del suo predecessore, la cifra annuale continua ad aggirarsi (secondo le stime dell’Ice) sulle 200.000 unità. Cambia semmai, e non è una differenza di poco conto, osserva la politologa Nicole Bacharan in un articolo comparso lunedì su La Croix, la tipologia di persone colpite, prima concentrata su chi aveva problemi con la giustizia, oggi estesa a famiglie e bambini, con gli effetti devastanti denunciati dalle chiese.

Venerdì, il Consiglio nazionale delle Chiese cristiane (NccUsa) aveva infatti lanciato un appello per fermare le “deportazioni” programmate, «suscitando paura e terrore nel cuore di innumerevoli persone che vivono vite pacifiche e produttive nel nostro paese» con un atto di forza «non necessario, inconcepibile e immorale». Richiamando le proprie chiese membro alla preghiera, avevano anche ribadito l’impegno a «fare tutto il possibile», continuando a offrirsi come rifugio per chi ne avesse bisogno

Anche sei vescovi della Chiesa episcopale del Texas (la cui diocesi copre un terzo del confine Usa-Messico) accusavano le «disumane condizioni» dei migranti al confine sud degli Usa, attraverso una lettera congiunta di denuncia di una politica immigratoria «basata sulla paura». Richiamavano il forte legame tra il loro territorio e quello del Messico, di cui peraltro il Texas faceva parte prima dell’annessione agli Usa, ma anche un legame culturale ed economico che non si può rescindere, e d’altro canto una situazione, quella messicana, profondamente critica, concludendo: «Chiediamo ai nostri leader di fidarsi della bontà, della generosità e della forza della nostra nazione. Dio ci ha benedetti con grande abbondanza. A questo si accompagnano la capacità e la responsabilità di benedire gli altri».

Lo stesso Presiding Bishop episcopale Michael Curry, ha diffuso lunedì un video messaggio richiamando il tema “chi è il mio prossimo?” e affermando che nella profonda crisi che stiamo attraversando, «come nazione, come comunità globale, dobbiamo affrontarla e trovare una via d’uscita per la salvezza dei nostri fratelli e sorelle, per la salvezza di noi tutti». Richiamando le radici e i valori «di molte delle più grandi religioni del mondo», e la parabola del buon samaritano si dichiara profondamente convinto che «la cura dello straniero, dell’estraneo, del visitatore, è un dovere e un impegno sacro».

Lunedì è stata diramata anche una lettera dei cinque vescovi texani della United Methodist Church, che insieme a diversi colleghi emeriti, hanno richiamato l’attenzione sulla necessità di una «soluzione non di parte» della crisi sul confine meridionale, sottolineando anch’essi le «politiche crudeli» che separano le famiglie, e la necessità di «creare un percorso equo e trasparente per la cittadinanza di tutte le persone senza documenti».

Intanto, lo stesso giorno l’amministrazione Trump, dichiarando «un grande successo» l’operazione di domenica, ha introdotto una nuova regola, che impedisce ai richiedenti asilo di presentare la domanda alla frontiera meridionale Usa, facendo ricadere su «paesi terzi» come Guatemala e Messico il compito di vagliare le domande di asilo. Sappiamo come andrà a finire la storia. O meglio, come continuerà, senza fine.