800px-camilleri_recita_tiresia

Camilleri, che faceva politica coi suoi romanzi

Adesso prepariamoci a sentirne parecchie, in questi giorni che seguiranno alla scomparsa di Andrea Camilleri: polemiche e contrapposizioni, sentenze e certezze assolute, che ruoteranno su due argomenti e che, sentiamo già da tempo, carsicamente ,riproporsi sui media.

Prima questione, mai risolta (perché è irrisolvibile), ma che pare fornire grande soddisfazione ai soliti guelfi e ghibellini, perché non si sa discutere in altro modo: c’è chi dice che Camilleri abbia fatto letteratura d’intrattenimento, una sorta di “giallistica” appena un po’ più elevata di quella “usa e getta”, da edicola di stazione ferroviaria. Stanno in questa corporazione quelli che credono che basti dire il contrario dei più, per essere originali (non c’è peggior conformista dell’anticonformista per dovere) e guardano con sospetto ai libri che vendono troppo. E c’è chi, con eccesso di zelo, sostiene che solo la letteratura noir sia oggi in grado di interpretare la società, magari procedendo per scuole nazionali, dai più sanguinosi autori americani alle accattivanti atmosfere nordeuropee. In realtà c’è autore e autore; ci sono autori che hanno scritto sia “polizieschi” sia altro genere di romanzi, come Henning Mankell, che non era solo l’ideatore del commissario Wallander (come Simenon non era solo Maigret), ma che nei libri di impianto “giallo” trasfondeva anche i toni lirici e meditativi della sua visione pessimistica e disincantata (beh, per un certo periodo ebbe come suocero Ingmar Bergman…). Camilleri non si sottrae a questa chiarificazione: ha scritto bellissimi libri “senza Montalbano” (su tutti probabilmente Il re di Girgenti, 2001) e poi, tra quelli più conosciuti, ve ne sono di più riusciti e di meno riusciti. Vogliamo dare un tono “laico”, senza toni da curva di stadio, alle nostre valutazioni? Ne siamo ancora capaci?

E qui si arriva dritti dritti alla seconda questione. Camilleri ha espresso giudizi anche sull’oggi, nelle interviste, in articoli e prese di posizione, ciò che regolarmente procurava una serie di reazioni di favorevoli e contrari. Non interessa fare l’inventario dei suoi “bersagli polemici” più ricorrenti. Non interessa, perché non è nelle prese di posizione che Camilleri (come altri autori importanti – penso a Antonio Tabucchi) ha “fatto politica”. In questo senso mi sentirei di dire che ogni volta che parlava di attualità, sbagliavano a commentarlo tanto gli estimatori quanto i detrattori (e forse eccedeva anche egli stesso nel concedersi a questo agone). Una firma in calce a una petizione, una dichiarazione al volo non fanno la statura di uno scrittore. Il suo modo di ragionare, e di fare ragionare lettori e lettrici, questo sì.

E allora: non potendo certo ignorare le pratiche e la qualità (scarsa) di molta della nostra politica, credo che da buoni protestanti, eredi anche della filologia dell’Umanesimo, dobbiamo andare ad fontes, ai testi. I quali testi mi suggeriscono due riflessioni. Innanzitutto i libri e gli sceneggiati di Montalbano ci mostrano una realtà diversificata e pulviscolare in cui il crimine “per soldi”, che arriva fino alla tratta di esseri umani, che schiavizza le donne e oltraggia i bambini, si alterna con delitti dovuti a vite sbagliate, a interpretazioni cervellotiche della realtà, a fenomeni imperscrutabili dell’animo umano, fra i quali la gelosia amorosa è solo il più semplice e lineare da decifrare. Ma poi i comportamenti delittuosi si associano spesso ad altre azioni che paiono senza senso (come andare a seguire, in corteo, il funerale di persone sconosciute) o inspiegabili e inquietanti (come rientrare in Sicilia dall’emigrazione oltreoceano e scoprire il proprio nome, pirandellianamente inciso nella lista dei caduti in guerra), da cui pochi si salvano. Insomma, non solo fra gli agenti del crimine si annidano modi “sopra le righe” e destabilizzanti di stare al mondo (e non solo fra i politici si annidano corrotti e corruttori: lo imparino quanti ritengono che gli elettori siano per diritto divino meglio dei loro rappresentanti!).

Infine: come alla base delle inchieste di Maigret sta una particolare sensibilità del commissario nel cogliere i moti dell’animo umano, così in Montalbano c’è una capacità di “leggere” i meccanismi della riflessione altrui e i meccanismi stessi delle vicende. Ci sono modalità, nella natura, nella vita quotidiana, che sfuggono ai loro stessi attori: ma che con la riflessione accurata, con la ricerca dei precedenti e delle informazioni, con un po’ di distacco, insomma, possono essere decifrati, sol che lo si voglia fare. Intrecciare ciò che si può leggere negli archivi con la vita vissuta. Ecco, questo è ciò che manca alla nostra politica da impero romano decadente, che si abbandona alla denigrazione dell’altro e rifiuta il ragionamento. Quello che spiega, per esempio, con una metafora rimasta ineguagliata, che le cose a volte si comportano come l’acqua: prendono la forma e l’aspetto del loro contenitore; spesso inquietante. Tutto deve essere vissuto, ma anche interiorizzato, e su tutto bisogna tornare a riflettere. Qui, nelle trame e nei tipi umani, e non nelle interviste, sta l’insegnamento politico (e morale) di Camilleri.

Foto: Camilleri recita Tiresia, foto di Davide Mauro