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“From trash to cash”

Tutti sanno che un esercizio fisico regolare fa bene alla salute, ma molti si lasciano prendere dalla pigrizia e da mille scuse per non “mettersi in moto”. Forse può suonarci strano, ma questo succede anche in Africa… ecco perché il vescovo metodista dello Zimbabwe Eben Nhiwatiwa e il suo staff hanno deciso di lanciare un programma di iniziative incentrato sulle attività sportive (e, l’anno successivo, sul canto corale), a partire dai circuiti, per poi salire di livello fino a coprire l’intera area del paese.

«La cura di sé è importante», dice il vescovo nell’articolo che ne parla, sottolineando l’importanza di una mens sana in corpore sano per avere una vita felice. In questa campagna, anche sua moglie Greater Nhiwatiwa ha (letteralmente) giocato un ruolo importante, partecipando a una squadra di netball (la pallacanestro femminile), una delle attività offerte ai diversi gruppi d’età oltre a calcio, pallavolo, corsa, e persino zumba.

La chiesa ha sostenuto direttamente la maggior parte delle attività, assumendo arbitri professionisti, stimolando i giocatori con trofei e premi, e valorizzando i talenti a proseguire l’attività agonistica in squadre nazionali.

«La mia speranza è che le donne prendano l’abitudine di svolgere attività fisica quotidianamente, in modo che questo migliori la loro salute», ha affermato la vicepresidente delle donne dell’area episcopale dello Zimbabwe, Tendai Gurupira, convinta che «l’esercizio fisico sia la cosa più trasformativa per il cervello che si possa fare oggi». 

Riduzione dello stress, diminuzione del rischio di depressione e di altre malattie, miglioramento della propria vita personale, acquisizione di autonomia, aumento della fiducia in se stesse… alcuni di questi benefici apportati dall’attività sportiva, soprattutto gli ultimi tre, sono validi anche per un’altra iniziativa della Chiesa metodista unita dello Zimbabwe, rivolta di nuovo in modo specifico alle donne, soprattutto vedove e madri sole. La cinquantanovenne Tapiwa Nyawasha, membro della chiesa di Kuwadzana, un sobborgo residenziale della capitale Harara, dice di avere avuto l’idea sfogliando una rivista, da cui lo scorso anno è nata un’attività commerciale, i cui guadagni Tapiwa condivide anche con la sua chiesa e con il gruppo femminile. 

Da tre decenni la donna lavora all’uncinetto, in particolare centrini per le donne che attraversano il confine per scambiare beni e oggetti con i paesi vicini e avere in questo modo il necessario. Tapiwa ha poi insegnato la sua arte ad altre donne, che hanno potuto metterla a frutto, e oggi vorrebbe ampliare il suo business con un negozio dove vendere i suoi prodotti, «mettere da parte dei soldi per finire la mia casa e andare in pensione». 

Il procedimento è semplice e complesso allo stesso tempo: partendo da rifiuti di plastica (come i grossi sacchi che servono a contenere legumi o farina) e scarti tessili delle industrie sartoriali, con le forbici taglia delle strisce che poi assembla con ferri da maglia e uncinetto. Il materiale di partenza è a costo zero, l’unica risorsa di cui c’è molto bisogno… è il tempo. Per confezionare un tappetino ci vuole circa una settimana, spiega Tapiwa, anche se dipende ovviamente dalle dimensioni.

Questo esempio è stato citato da Tendai Gurupira per parlare di empowerment femminile, e di crescita della consapevolezza verso la gestione e il riciclo dei rifiuti plastici. Con questi si possono creare borse, zerbini, copritavolo, bidoni fatti con le bottiglie di plastica, ha spiegato, incoraggiando le donne a seguire l’esempio di Tapiwa. Un gesto che non è solo “amico delle donne”, ma anche dell’ambiente: guadagnando “cash from trash”, denaro dai rifiuti, le donne contribuiscono a proteggere l’ambiente riducendo la quantità di rifiuti in discarica. Il passo successivo sarà la riduzione a monte dei rifiuti plastici, ma la strada è ancora lunga….