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Ebraico biblico a Bagnacavallo

E’ stato definito un esperimento, riuscito in realtà, l’impianto del corso di studio estivo (28-30 giugno) di ebraico biblico che da anni Biblia, associazione laica che da trent’anni promuove la diffusione della cultura biblica con particolare attenzione al mondo della scuola,considera il “richiamo” rispetto al corso invernale.

Ancora a Bagnacavallo (Ravenna), infatti, Piero Capelli (docente di lingua e letteratura ebraica a Ca’ Foscari) ha toccato i temi della visione dell’uomo e del suo destino, del libero o il servo arbitrio e dell’escatologia nella bibbia ebraica (che non coincide con l’Antico Testamento) e nei manoscritti di Qumran.

La scelta dei testi biblici ha compreso il Salmo 51, Ezechiele 37, 1-14, Daniele 12 e Giobbe 14, mentre da Qumran sono stati scelti passi dagli Inni, dalla Regola della comunità e dall’Oroscopo.

L’elemento comune dei primi è la loro possibile relazione con la cultura di Qumran, predeterminista e apocalittica.

Il Salmo 51 infatti al v 5 (Ecco, io sono stato formato nella iniquità, e la madre mia mi ha concepito nel peccato) si pone in una posizione irresponsabile sul piano della salvezza, afferma che la impurità fisica coincide con quella  spirituale (Isaia 6,7) e che dio non gradisce sacrifici ma un cuore contrito (siamo nel periodo dell’esilio babilonese, Gerusalemme non è integra e si prefigura la Torah come ‘patria portatile’ del popolo); al v 8b (fa’ che le ossa che tu hai tritate festeggino)siusa una espressione che richiama Ezechiele37, un testo che introduce il tema della resurrezione in ambito ebraico.

Questa è una delle forme in cui la escatologia ebraica racconta il mondo a venire, insieme al messianismo e le concezioni dell’aldilà.

In Ezechiele 37 (ancora in esilio) l’immagine delle ossa inaridite esprime attraverso una resurrezione di uccisi l’assoluta inaccessibilità della salvezza (v3, Queste ossa potrebbero mai rivivere? domanda Dio). I mezzi umani, di qualunque genere, non possono salvarci, abbiamo bisogno di uno Spirito nuovo, di una vita che non può venire da noi, una grande promessa (v 14, farò entrare in voi il mio Spirito).

Daniele 12 cela dietro un testo apocalittico il racconto avvenuto tre anni prima della battaglia dei Maccabei contro Antioco IV seleucide che cercava di forzare la ellenizzazione di Israele (fino alla imposizione di sacrifici pagani) -una guerra di indipendenza che implicava una guerra civile-, e la presenta come un confronto tra il bene e il male, la verità e la menzogna, il puro e l’impuro (v1 In quel tempo sorgerà Michele, il gran capo…).

Anche per Daniele c’è una resurrezione associata ad un giudizio definitivo: v2E molti che dormono nella terra di polvere si risveglieranno: gli uni per la vita eterna, gli altri per la vergognainfamiaeterna.

Giobbe nella disperazione e nel lutto accusa un Dio che pare inabissato (un Dio amorale, avrebbe detto Jung) di distruggere le speranze umane: come fa egli a giudicare una creatura, nata da donna, che non dura e non si rigenera come accade alle forme vegetali (v12 così l’uomo giace e non risorge più; finché non vi sian più cieli, ei non si risveglierà né sarà più destato dal suo sonno)? Perché giudicare gli umani se Dio solo è in grado di trarre il puro dall’impuro (v4).  Se un uomo muore può tornare a vivere (v14)? In quel caso basterebbe aspettare che l’ira di Dio passi. Ma tu sopraffai l’uomo per sempre, ed egli se ne va (v20).

La lettura dei testi di Qumran è stata preceduta da una conferenza di Corrado Martone (docente di storia, lingua e letteratura ebraica a Torino), nella quale ha raccontato la scoperta della biblioteca trovata a Qumran dal 1947, appartenuta ad un gruppo che si definiva “yahad”, insieme, molto probabilmente una comunità di origine sacerdotale dissenziente rispetto alla corrente sadducea che dominava a Gerusalemme.  A parte il valore in sé, i ritrovamenti di Qumran hanno consentito di disporre di testi biblici del 2^-3^ secolo aev (avanti era volgare) mentre fino ad allora i manoscritti più antichi risalivano intorno al 1000.  E’ interessante che fra i testi biblici (cioè diventati canonici) trovati quelli più presenti sono anche quelli più citati nel nuovo testamento (che Qumran non conosce), e che fra i testi  non biblici vi siano quelli di Bar Kokhbà (capo messianico della terza Guerra giudaica contro Roma del 132-135) ad avvalorare forse la prospettiva escatologica messianica del gruppo (la battaglia finale per loro era in corso) quale condizione per la restaurazione di un sacerdozio puro storicamente non realizzabile.

Martone ha ricostruito la puntazione vocalica dei testi.

In chiusura la conferenza di Rav Caro sul “dopo dei giorni”, il futuro che sta per venire su cui il rabbinismo si confronta con la mistica, e la speculazione sul futuro cede all’urgenza del presente di riparare il mondo.

In una stagione storica in cui i populismi cavalcano la disperazione materiale provocata dal neoliberismo e migliaia di giovani scendono in strada per dire che non c’è più tempo e, come tanti Giona, intimano la conversione dal modo di produrre e consumare responsabile del cambiamento climatico, il tema di questo seminario rivela la sua cogenza.