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Sulla dannata terra: un libro che racconta la lotta per i diritti

Nuovo libro per Francesco Piobbichi, disegnatore sociale e operatore del progetto Mediterranean Hope, che mantiene lo stile del disegno per raccontare storie, emozioni, percorsi di vita.  

Dopo «Disegni dalla frontiera» e «Sul mare spinato», esce ora «Sulla dannata terra» (edizioni Claudiana).

Quest’ultimo libro ci racconta lo sciopero del 2011 dei braccianti a Nardò, nel Salento. Prende qui il via la storia ?

«Con questo ultimo lavoro chiudo un ciclo di racconti. Tutto il percorso che ho fatto sulle storie di migrazioni e di frontiera, nasce infatti dallo sciopero di braccianti del 2011 a Nardò (Lecce) organizzato, per la prima volta, interamente dai lavoratori. Durò più di una settimana e vi parteciparono oltre 700 persone. Questo libro racconta la determinazione di uno sciopero importante, che ha dato il via all’introduzione della legge contro il caporalato. Racconta una lotta per i diritti e parla della condizione del lavoro che si è sviluppata in tutta Italia, non solo al sud. Pensiamo a Saluzzo, al Lazio, all’Emilia Romagna: ormai la forma della fabbrica verde coinvolge l’intero ciclo produttivo delle campagne in Italia».

Sono iniziati in quel momento i disegni dedicati alle storie dei migranti?

«Proprio in quel periodo iniziai a disegnare i braccianti, i migranti, con la frontiera al collo: ho ritrovato dei miei vecchi disegni in cui rappresentavo già le mani legate al filo spinato. Da quel momento ho iniziato a cercare di capire quando ai migranti viene messa al collo la frontiera. Il percorso migratorio  parte dalle cause degli spostamenti, ma prosegue nell’affrontare un viaggio di sfruttamento e estrazione di valore e poi ancora nell’incognita dell’approdo».

Hai scelto il disegno come forma comunicativa. Può essere anche considerato terapeutico?

«Il disegno, come tutte le forme artistiche, è una forma di cura all’anima. Credo che però questo lavoro serva più come autoterapia all’umanità. Faccio un lavoro di narrazione popolare attraverso i disegni.

Anche quet’ultimo libro, ad esempio è scritto in tre lingue, francese ,inglese ed italiano, perchè vorrei che tornasse ai migranti che io racconto. C’è quindi un’aspetto di autoterapia, ma più in generale la dimensione artistica è totalmente inserita in un processo comunitativo. Per me la cosa più importante è riuscire a comunicare e trasmettere emozioni».

Non è facile raccontare storie così difficili e dolorose. Ti poni dei limiti?

«Non possiamo pretendere che il peso della memoria sia portato da chi subisce. Noi che lavoriamo in frontiera sentiamo delle storie che poi però vengono lasciate alle spalle dai protagonisti. Dovremmo assumerci il peso del loro racconto per costruire la memoria del domani, la responsabilità di raccontare. Il mio è anche un lavoro di critica, rivolto a chi utilizza la frontiera come luogo della pornografia del dolore: succhia, prende immagin, emozioni. Noi che lavoriamo alla frontiera non dovremmo essere raccontati, ma raccontare».

Il libro raccoglie fondi per la campagna SOS Rosarno.Di cosa si tratta?

«SOS Rosarno è un’associazione che nasce nella piana di Gioia Tauro nel 2011, dopo la rivolta di Rosarno. Si occupa dei diritti dei lavoratoi e ha cominciato a costruire una cooperativa dedicata a prodotti biologici che rifornisce moltissimi Gas. Attenzione alla produzione, all’aspetto della natura, ma anche a prezzi equi».

Prospettive future?

«In qualche modo il lavoro a Mediterranean Hope mi ha dato la possibilità di avere più sguardi: lo sguardo oltre frontiera, lo sguardo del mare, con il lavoro di accoglienza a Lampedusa e sulle navi di salvataggio, lo sguardo dell’osservatore sulle migrazioni: un fenomeno che segnerà la storia dell’umanità per i prossimi decenni».