bagolaro

Ma i veneti odiano gli alberi?

L’ultimo episodio, l’abbattimento di una decina di tigli secolari a  Ponte di Barbarano (20 giugno). Ma la lista recente è pressoché infinita.

Dalle tre querce alla base di Montruglio (dicembre 2016) alla paulonia* e al platano lungo il Retrone a ponte Furo (poco prima delle ultime elezioni comunali, un regalo d’addio della giunta Variati?).

O anche, l’anno scorso, l’imponente bagolaro e i due platani ben visibili dalla pista ciclabile per Noventa, poco prima dell’incrocio con la strada per Campiglia.

E più recentemente, l’abbattimento a San Rocco di numerose alte robinie già ricoperte di fogliame (tra cui i merli avevano avviato la seconda covata) o il platano, presumo secolare, nel brolodi un’antica villa semi-abbandonata a Nanto.

E poi, ma già in provincia di Padova, tra Lozzo ed Este, almeno sette-otto alti platani – patrimonio pubblico, non privato – eliminati brutalmente dopo che sulla collinetta di fronte, dall’altro lato della strada, il solito rurbain (comunque sempre più “urbain” che “rural”) aveva piantato qualche ulivo (temendo forse che facessero troppa ombra…). 

Addirittura (ci si mettono anche i francescani adesso?!?) tre o quattro bagolari a San Pancrazio, anche quelli a debita distanza dal muro e quindi inoffensivi.

Potrei continuare, a lungo. In sostanza, uno stillicidio di alberi secolari abbattuti. Un impoverimento, sia dal punto di vista della biodiversità che paesaggistico. 

E nel contempo si alzano lamenti – ancora ?!? – per la strage di alberi in Altopiano (Malcesina e dintorni), si raccolgono fondi per ripiantarli mobilitando perfino i bambini delle elementari. Sorvoliamo pure sul fatto che a quanto pare il legname è stato in gran parte acquistato da austriaci e, pare, cinesi per una pipa di tabacco e sul fatto che magari ce lo restituiranno – lavorato – a caro prezzo. Ma, dico,  non sarebbe più educativo salvaguardare, proteggere (e magari curare quando ce ne fosse bisogno) quei pochi, residui giganti arborei che ancora punteggiano la pianura, immersa nel cemento dei capannoni,  e le colline, devastate dalle villette semi-abusive degli “amanti della natura di ritorno”?

Rileggersi “Collasso – come le società scelgono di morire o vivere” di Jared Diamond e meditare, ma non limitarsi a questo.

* nota 1: questa è anche una faccenda personale. Verso la metà degli anni sessanta, avrò avuto 13 anni, la paulonia era un arbusto, un rametto di poco più di un metro con tre o quattro grandi foglie. Un mio cugino voleva tagliarla per costruirsi un arco e per impedirlo mi azzuffai duramente. Porto ancora su una gamba, la sinistra, l’evidente cicatrice effetto collaterale della rissa. In tutti questi anni, passando per ponte Furo, guardavo con affetto – e anche con una punta di orgoglio – la “mia” paulonia che cresceva vigorosa. Gran brutto colpo scoprire che l’amministrazione ne aveva decretato – e prontamente eseguito – la condanna a morte.