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Il difficile equilibrio tra laicità e libertà

Da diversi anni si dibatte, anche in Canada, sui simboli religiosi nei luoghi pubblici. Un disegno di legge, depositato a fine marzo dal governo del Québec, ha fatto discutere e lo scorso 16 giugno, con 73 voti su 108, è diventato la legge 21 “Sulla laicità dello Stato”.

Contestualmente all’approvazione (all’unanimità) dei deputati dell’Assemblea nazionale alla rimozione del crocifisso dalla propria sede, ora tocca ai simboli religiosi indossati da alcune categorie di dipendenti pubblici alle quali è riconosciuto un certo potere: forze di polizia, giudici e avvocati, insegnanti e direttori scolastici, oltre ovviamente al presidente e vicepresidenti dell’Assemblea nazionale. La legge non si applica retroattivamente, per cui chi già indossava tali simboli prima del 28 marzo 2019 potrà continuare a farlo, a meno che cambi funzione o incarico.

Il testo, presentato dal primo ministro François Legault, a capo del partito Coalition avenir Québec (Caq), è stato uno dei punti forti del programma della Caq, che ha ottenuto la maggioranza nelle elezioni dello scorso ottobre, ma si scontra nettamente con le posizioni del Primo Ministro canadese Trudeau, e soprattutto con la Carta dei diritti e delle libertà, che costituisce la prima parte della Costituzione canadese e garantisce tra le altre la libertà religiosa, e per svincolarsi dalla quale il governo del Québec ha sfruttato una particolare clausola.

Diverse associazioni musulmane ed ebraiche, la Federazione delle donne del Québec, Amnesty International, o personalità come Jagmeet Singh, leader sikh del Nuovo Partito Democratico dell’Ontario, o la sindaca di Montreal, hanno espresso la loro disapprovazione, mentre tra le adesioni alcune non sono state molto gradite dai proponenti (a ulteriore dimostrazione della complessità del tema), come quella del gruppo nazionalista di estrema destra La Meute che aveva espresso l’appoggio alla legge, con cui l’entourage di Lagault ha dichiarato di non avere niente a che fare.

Il provvedimento, nel quale sono previste anche misure disciplinari per i contravventori (che integrano, si legge, quelle già previste “nel quadro dell’esercizio delle (loro) funzioni”) si rivolge ai simboli di tutte le religioni, dalla kippah all’hijab alla croce: ma alcune ne faranno le spese più di altre, e saranno quelle più bisognose di integrazione, in quanto portate dall’immigrazione.

E proprio il ministro dell’immigrazione, della diversità e dell’inclusione Simon Jolin-Barrette è stato tra i più attivi promotori della legge, dichiarando che «questa misura permette una transizione armoniosa verso la laicità», affermando per la prima volta il principio della laicità dello Stato in una regione dominata fino agli anni Sessanta dalla Chiesa cattolica, e che da più di dieci anni si trova ad affrontare la questione.

Mentre viene dichiarata con fermezza l’entrata in vigore della legge, nonostante la proroga di un anno chiesta dalla Commissione scolastica di Montreal, per la difficoltà di applicazione nel contesto scolastico, qualcuno già lamenta l’incompletezza di questo processo di “laicizzazione”: nulla viene detto, infatti, riguardo al corso di “Etica e cultura religiosa” nelle scuole, e soprattutto rimane il finanziamento dello Stato alle scuole private confessionali, che copre circa il 60% delle tasse scolastiche in questi istituti ma secondo alcuni andrebbe a colpire, più che l’ambito religioso, il diritto allo studio.