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Nel culto la nostra continuità

Quando nella realtà dell’evangelismo italiano ci ritroviamo, di anno in anno, nelle assise che contraddistinguono la realtà delle nostre chiese, abbiamo l’impressione di essere a casa, di ritrovarci tra fratelli e sorelle, operai della chiesa, nella continuità. Ma questo senso di continuità, indispensabile per la nostra edificazione, ci viene innanzitutto dal culto. La relazione della presidente, pastora Mirella Manocchio, e del Comitato permanente dell’Opera per le chiese metodiste in Italia (Opcemi) alla Consultazione metodiste (Ecumene – Velletri, 24-26 maggio), ribadisce la centralità di questo momento trovando conforto in un documento della Comunione di chiese protestanti in Europa (Ccpe): «Il culto è un luogo della continuità, un luogo che rimane ciò che è in quanto è il luogo dell’incontro con il Dio eterno; è una dimora, un rifugio nelle peripezie della vita, offre protezione e la sensazione di essere a casa propria. (…) Questo luogo non è però un’isola erratica che emerge nel flusso del tempo, bensì nella sua realizzazione prende parte, sotto molti aspetti, al tempo nel quale il culto ha luogo. Questo perché la Parola di Dio avviene nel tempo e prende forma in esso».

Naturalmente possono variare le forme del culto, e la realtà plurima del metodismo in Italia (come di molto del panorama evangelico nel nostro Paese) ne è al tempo stesso testimonianza e stimolo. A condizione che si guardi al nostro prossimo con gli occhi, per esempio, del documento della Conferenza delle Chiese europee (Kek) e della Commissione delle Chiese per i migranti in Europa (Ccme) dal titolo L’Europa è il nostro futuro (Riforma n. 11, p. 15). Ma certo è con l’invocazione al nome del Signore che noi apriamo i culti, e per questo la Relazione dell’Opcemi prende l’avvio chiedendosi: «Che vuol dire invocare il nome di Dio? Che vuol dire per noi, comunità di credenti, farlo in questo oggi?». Nel mare magnum di notizie tragiche da cui siamo pervasi, di persone rese vittime da altre persone, ci si chiede: «Chissà se i protagonisti di queste tragiche vicende hanno avuto la forza e la speranza di poter invocare il Signore, di credere che vi potesse essere qualcuno (…) che intervenisse in loro soccorso. Che vuol dire invocare il nome di Dio?».

È una domanda che – spiega il Comitato permanente – ci si pone anche nel corso delle visite alle chiese locali, immerse ognuna a suo modo nella realtà sociale. Per questo, la Consultazione del 2018 aveva avviato una serie di riflessioni a partire da lavori di gruppo, su quattro macrotemi, su cui si vuol continuare a lavorare: «senso di comunità e comunità di senso; leadership laica e pastorale; razzismo e diritti civili; lavoro e legalità».

La continuità, peraltro, non esclude l’apertura alla novità: la Consultazione avrà come ospite il nuovo coordinatore per i rapporti in Europa della Chiesa metodista britannica, pastore Barry Sloan, che terrà un intervento per raccontare l’esperienza di quelle chiese che si rifanno al modello Fresh expressions, evidenziandone finalità e prospettive ecclesiastiche: modalità d’azione basate sulla convinzione che occorra passare da un modello attrattivo (la chiesa è qui, chi vuole entrarvi è benvenuto) a un modello missionario, che porti la chiesa a spingersi nei luoghi «dove le persone si trovano a vivere». Diverse chiese in Europa hanno cominciato a confrontarsi con questo modello, peraltro affine alla concezione della parrocchia-mondo che risale a Wesley.

La Consultazione si apre il venerdì sera con la predicazione del pastore Peter Ciaccio (Palermo), e sii concluderà la mattina di domenica 26 con il culto di Rinnovamento del Patto, a cura del Comitato permanente Opcemi con il contributo musicale di un gruppo di giovani del Napoletano.

Nella foto il centro evangelico Ecumene, di Velletri (RM)