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Mussolini, il primo fascista

Mussolini fu il primo fascista: forgiò il termine e lo riferiva alla sua persona. Lo documenta Hans Woller, ricercatore presso l’Istituto per la Storia contemporanea di Monaco di Baviera, nel suo ultimo recentissimo volume in edizione italiana*.

Si tratta di un testo articolato in “tappe” cronologiche che illustrano con acribia percorso ed evoluzione ideologici del pensiero (e dell’azione) dell’Uomo di Predappio. L’opera «mira a concentrare l’attenzione sugli aspetti fondamentali, reinterpretandoli alla luce della storiografia moderna: l’essenza del protagonista, i caratteri principali del suo governo dittatoriale e la collocazione storica del regime nelle vicende del nostro tempo».

Nel corso dei “burrascosi” anni scolastici, ma con una forte propensione alla lettura, influenzato «dalle idee più disparate della sinistra rivoluzionaria» del padre, Mussolini matura disprezzo verso «il liberalismo stantio dei ceti borghesi» e odio per «le organizzazioni politiche legate alla Chiesa», cifra dello status quo. Emigrato a Losanna, maturerà il suo «apprendistato politico» e “cova” la sua ideologia razziale e nazionalista.

Tornato in Italia (a Trento), «era un’altra persona»: in pochi mesi, si trasforma «in giornalista e uomo politico navigato». Poi, lo scoppio della Grande Guerra: «Mussolini era il primo a non sapere da che parte stare e a cosa mirare. Senza immaginarlo, alla fine del 1914, soldato sbandato della rivoluzione mondiale, indugiava ancora in una sorta di aspettativa prefascista». Il fascista nasce nel 1922, il 28 ottobre, con la Marcia su Roma. Ma fu soltanto una marcia «leggendaria, mai avvenuta. Si impantanò a decine di chilometri dalla capitale e fu revocata del tutto quando Mussolini salì sul treno notturno diretto a Roma, praticamente già in veste di capo del governo». Comunque, non si trattò di una farsa: l’omologazione del Paese e lo “smantellamento” degli avversari attraverso una milizia attivissima furono rapidi. Il fascista si “evolve” in dittatore: dall’assassinio di Matteotti (giugno 1924) alle Leggi fascistissime (gennaio 1925) il passo è breve.

Ora, va creato l’Impero. Mussolini l’imperialista sul fronte africano fa esplodere il suo razzismo, che si traduce nelle Leggi antisemite (17 novembre 1938), così impedendo «l’imbastardimento della razza bianca»: «Il troppo ebreo – scriverà – fa nascere l’antiebreo». «L’antisemitismo era divenuto uno dei pilastri portanti dell’ideologia di Mussolini negli anni Venti, benché ciò non fosse emerso subito sul piano della politica pratica.» Poi, l’Asse Roma-Berlino (10 giugno 1940) «per coprirsi le spalle e condurre la sua guerra vitale a sud». E la Grecia: «una passeggiata».

Tra un errore e l’altro, il regime crolla il 25 luglio 1943: «la caduta» vide il primo fascista portato via in ambulanza. Non fu ancora la fine, però. Goebbels si sbagliava: «Davvero sconvolgente immaginare che una rivoluzione, pur sempre al potere per ventun anni, si possa liquidare in questo modo». Così scriveva nel suo diario. La rivoluzione fascista prosegue nella Repubblica di Salò. Il nuovo regime durò solo due anni. Gli eventi, nel loro succedersi, piegarono tedeschi e Mussolini a guardare in faccia la realtà fino a gettare la spugna. Il tentativo di fuga del Duce su una unità della Luftwaffe fallì: il suo destino sembrava segnato e con esso anche quello di Claretta Petacci.

Arrestati a Dongo dai partigiani, vennero giustiziati in località Giulino di Merzegra (27-28 aprile 1945). I loro cadaveri, esposti nel milanese piazzale Loreto, furono oggetto di una brutalità animalesca delle folle. «Sembrava – sottolinea Woller – che le folle di Milano volessero cancellare con la persona anche il suo ricordo e la loro stessa passata adesione al fascismo». 

* Hans Woller, Mussolini, il primo fascista. Roma, Carocci, 2018, pp. 336, euro 28,00.