13-parola

Le vita delle parole/Attenzione

Che fatica prestare attenzione alle cose, alle parole, alle persone. La concentrazione spesso ci appare come uno sforzo muscolare sproporzionato alle nostre forze, l’ennesimo lavoro che ci sottrae forza ed energia. Si pensa infatti all’attenzione come a un’azione, un’attività che il nostro io è chiamato a esercitare per vincere la pigrizia, la dispersione, la superficialità. Invece l’attenzione è soprattutto attesa; i due termini hanno la medesima radice: tendere a, rivolgere mente e cuore verso qualcosa, che manca e che si fa vicino e cresce. 

Per fare questo è necessario lasciare da parte le preoccupazioni e ogni altro scopo, essere pienamente presenti a se stessi e a ciò che accade. Per guardare con attenzione un bel paesaggio o prestare orecchio a una voce amica è necessario liberare la mente dai pensieri, dai desideri personali, bisogna saper fare il vuoto in se stessi.

Ce lo ricorda molto bene l’intellettuale ebrea francese Simone Weil che ha fatto dell’attenzione l’atteggiamento interiore per eccellenza parlandone in termini di preghiera: «L’attenzione, al suo grado più elevato, è la medesima cosa della preghiera. Suppone la fede e l’amore. L’attenzione assolutamente pura è preghiera». Pregare, infatti, è orientare verso Dio tutta l’attenzione di cui la nostra anima è capace, rendendosi disponibili ad accogliere e lasciarsi colmare da ciò che è altro da noi. In altre parole si tratta di abbandonarsi alla volontà di Dio, qualunque essa sia, superando gli stretti confini del nostro io e del nostro personale egoismo. L’attenzione è anche e soprattutto discernimento di ciò che ci fa vivere in verità come suggerito dal versetto di Galati 2, 20: «Non sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me. Questa vita nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me».