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Chiesa riformata in Ungheria: Dio, patria e famiglia

Diaspora ungherese, rapporti sempre più stretti con la Siria e le chiese in Medio Oriente, conferma del matrimonio come unione di un uomo e una donna. Sono i tre punti cardine al centro dei lavori di una sessione del sinodo della Chiesa riformata in Ungheria, lo scorso fine settimana.

Nel suo discorso, il presidente del sinodo della Chiesa ungherese, il vescovo István Szabó ha esortato i delegati presenti, in rappresentanza dei circa un milione e seicentomila membri di chiesa del paese, a «Pregare continuamente, non solo per i nostri pastori, colleghi, insegnanti, anziani e coloro che servono nella diaconia, ma anche per avere la capacità di rinnovarsi», perché, «senza il rinnovamento dei cuori e la riforma della nostra vita, ogni tradizione svanisce via e ogni nuovo inizio si rivela vuoto». Secondo il vescovo ciò è già stato dimostrato in molti luoghi e in molti modi, specialmente nello stato attuale del cristianesimo occidentale, e «la stagnazione nei numeri delle nostre chiese ne sono un esempio: la crescita è uno degli attributi della Chiesa. Senza il rinnovamento spirituale, non c’è crescita, e la Chiesa non è più attraente».

«Possa Dio rinnovarci nella fede, nella speranza e nell’amore», ha continuato.

Come esempio di fede profonda, Szabó ha parlato delle sue recenti esperienze in Siria. Una delegazione della Chiesa riformta ungherese si è recata in Libano e in Siria alla fine di marzo, visitando le congregazioni locali ei dirigenti delle chiese a Damasco, Homs e Aleppo. La visita, con tutte le sue sfide, ha profondamente ispirato e commosso i membri della delegazione.

«Se qualcuno vuole sapere cosa significa la guerra, ha bisogno di vedere le immagini che arrivano dalla Siria dilaniata dalla guerra. E’ stato sorprendente e sconvolgente vedere che coloro che avevano scelto di rimanere nel paese hanno iniziato a ricostruire con tenacia. Non significa collezionare vecchi ricordi, significa piuttosto guardare al futuro con speranza e inventare nuovi modi per condurre un’autentica vita cristiana in un paese in rovina».

L’impegno della Chiesa per la solidarietà e la cooperazione con i cristiani in Medio Oriente è stato espresso anche con la firma di un memorandum d’impegno con il sinodo evangelico Nazionale di Siria e Libano e l’Unione delle Chiese evangeliche armene nel Vicino Oriente.

La diaspora ungherese è un tema sempre caldo da queste parti e il sinodo ha votato un documento di condanna delle recenti disposizioni messe in atto nella vicina Slovacchia, in cui una norma vieterebbe l’utilizzo di inni nazionali differenti da quello nazionale slovacco, creando grande malumore nella numerosa comunità ungherese presente nel paese – circa mezzo milione di persone, pari al 9% della popolazione. Intanto proprio in questi giorni, l’11 aprile, il presidente della Repubblica slovacca, Andrej Kiska, ha posto il veto alla norma in questione, fortemente voluta dal precedente governo appena decaduto, e ha rimandato il testo al Parlamento, che recentemente rinnovato, quasi sicuramente non la ripresenterà più. Una polemica durata giusto il tempo per rinfocolare il mai sopito nazionalismo.

I delegati sinodali hanno voluto poi ribadire che la dichiarazione approvata dal sinodo nel 2004 su “Matrimonio, Famiglia e Sessualità” è oggi «valida più che mai di fronte alle reazioni di sempre più chiese cristiane nel mondo che affrontano sfide in questo senso e sono inclini a cambiare la loro precedente biblica comprensione a causa delle pressioni sociali, o per vera convinzione».

La dichiarazione conferma che «basandosi sulla Sacra Scrittura la Chiesa riformata in Ungheria considera il matrimonio, l’alleanza per tutta la vita tra un uomo e una donna, come il buon ordine della creazione di Dio». 

No a unioni fra persone dello stesso sesso, no a ministre e ministri di culto gay o lesbiche, così come insegnanti di religione o qualsivoglia altro ruolo nella chiesa: tuttavia la «Chiesa riformata in Ungheria non qualifica moralmente l’orientamento sessuale stesso e si oppone a tutte le forme di discriminazione. La Chiesa riceve persone con qualsiasi orientamento sessuale con premurosa cura pastorale e accompagnerà il loro profondo dilemma umano con discrezione e comprensione … È nostro dovere difenderli da tutte le forme di discriminazione che violano la loro dignità umana». Accoglienza sì, ma nessuna benedizione.

Adottando  e ribadendo tale testo il Sinodo è consapevole del fatto che «la sua comprensione potrebbe essere diversa dalle convinzioni di altre chiese e comunità cristiane», e perciò ha anche espresso la volontà di continuare il dialogo e la ricerca di una migliore comprensione ben consci che «Formuliamo la nostra dichiarazione con la libertà di coscienza legata alla Scrittura. Dobbiamo obbedire a Dio, piuttosto che allo spirito del nostro tempo», recita la conclusione del documento.