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Brexit: chiese inglesi preoccupate per i più poveri

La Brexit si avvicina… e si allontana. La data ufficiale dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea viene continuamente spostata: doveva essere il 30 marzo, poi si è parlato del 12 aprile, infine pare che il tutto avverrà il 31 ottobre (già si parla di “Brexit di Halloween”), giorno della scadenza della Commissione europea in carica, anche se il governo britannico vorrebbe giungere al dunque prima delle elezioni europee. I pareri sul prolungamento dei tempi sono discordi, c’è chi come la Germania è d’accordo, chi come la Francia è invece contrario, ritenendo controproducente, per gli equilibri europei e per la programmazione del futuro assetto, la presenza “con un piede dentro e uno fuori” del Regno Unito. 

Si parla però anche di un “no deal Brexit”, cioè una Brexit senza accordi, ed è su questo che concentrano le loro preoccupazioni i leader di alcune chiese inglesi, che pochi giorni fa hanno diffuso un comunicato sottolineando le conseguenze che questi potrebbe avere sui più poveri. 

Già altri (Chiesa d’Inghilterra, Churches Together) avevano invitato le chiese a organizzare incontri di preghiera (ne avevamo scritto qui) per accompagnare questo momento difficile. Ora, questo nuovo comunicato affronta una questione molto concreta, sottoscritto dalla pastora Lynn Green, segretaria generale dell’Unione battista (Baptists Together), la pastora Michaela Youngson e Bala Gnanapragasam, rispettivamente presidente e vice della Conferenza metodista britannica, Derek Estill e il pastore Nigel Uden,moderatori dell’Assemblea generale della Chiesa Riformata Unita.

Si legge che una Brexit senza accordi e pianificazioni mette a rischio le condizioni delle persone disagiate: i leader delle chiese metodista, battista e riformata unita (scrivono) finora avevano «scelto di non diffondere dichiarazioni politiche sulla Brexit», dal momento che i membri delle chiese hanno operato scelte diverse, votando remain leave al referendum. Ma ora, di fronte al rischio cui vengono esposte le persone, si sentono «in dovere di parlare. Come cristiani siamo chiamati a chiedere giustizia per milioni di persone oppresse dalla povertà. Una Brexit senza regole rischia di inasprire la morsa della povertà sulle famiglie ovunque nel paese».

E ancora, i leader evidenziano che nell’ultimo decennio hanno assistito (e fatto fronte) «alla lenta ma crescente ondata di fame nel paese. Una Brexit senza accordi rischia di limitare l’apporto di cibo nel paese e l’aumento dei prezzi. Questo, insieme a ulteriori tagli alle sovvenzioni decisi l’8 aprile, potrebbe avere pesanti conseguenze per molti nelle nostre comunità. Diversi enti benefici ci avvertono che le forniture di cibo ai più vulnerabili sono le più a rischio: ospedali, prigioni e coloro che dipendono dal cibo in eccesso o donato. È probabile che vengano interrotte le forniture di farmaci essenziali, e di nuovo i più vulnerabili saranno quelli meno in grado di farvi fronte».

L’esortazione finale è a «fare tutti gli sforzi possibili per evitare una “no deal Brexit” senza pianificazione, date le conseguenze per le persone più vulnerabili nella società». Se la decisione (o l’indecisione) dei leader politici, concludono, «insieme a una mancanza di preparazione, dovesse esporre i più poveri a questi rischi, sarà responsabilità del Governo garantire che queste famiglie siano protette. Continuiamo a pregare per i nostri politici e per tutti coloro che si trovano in povertà».

Foto ChiralJon/via Flickr (licence cc-by-2.0.)