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Quale sarà il futuro della Chiesa metodista unita?

Molti, all’interno della denominazione e all’esterno, sono rimasti spiazzati dall’esito della Conferenza generale (GC) straordinaria della Chiesa metodista unita, tenutasi a fine febbraio a St. Louis, Missouri (ne avevamo parlato qui) e pronunciatasi a favore dell’opzione più tradizionale e restrittiva nei confronti delle persone lgbtqi, ora escluse dal matrimonio e dall’accesso al clero.

Alcune chiese con cui la Umc ha rapporti stretti hanno reagito (qui); diversi pastori hanno annunciato subito la propria disobbedienza con la celebrazione di unioni gay, e c’è chi, come la Chiesa metodista unita tedesca, ha dichiarato che non applicherà il Traditional Plan, considerandolo “inaccettabile”.

Altri hanno organizzato manifestazioni di protesta: sit in, petizioni, annunci sui giornali, “sciopero delle contribuzioni”: e a proposito di quest’ultimo, le conseguenze cominciano già a farsi sentire, le contribuzioni sono calate del 15,6% rispetto al 2018 e del 20% nell’ultimo mese, secondo i resoconti pubblicati dalla Umc. Qualcuno sta addirittura pianificando l’uscita dalla denominazione, come un gruppo di 30 pastori e laici statunitensi guidati dal pastore della megachurch di Leawood (Kansas) Adam Hamilton, che stanno immaginando «un futuro per quelle chiese che sentono di non poter più rimanere in una denominazione che nega i diritti delle persone lgbt» e stanno organizzando un incontro di due giorni per il mese prossimo nella chiesa di Hamilton…22.000 membri.

In questa situazione sembra difficile riuscire a trovare un compromesso soddisfacente: il nodo è la conciliazione tra l’aspetto democratico (le decisioni sono state prese a maggioranza) e quello globale della denominazione, che rappresenta contesti nazionali diversissimi. La situazione è davvero complessa, se consideriamo che i rappresentanti delle chiese di diversi paesi africani (ma anche di Russia e Ucraina) non avrebbero potuto approvare un piano di accoglienza e inclusione delle persone lgbt senza incappare in conseguenze pesanti nel loro paese, dove l’omosessualità è pesantemente perseguita e queste chiese sono già “sorvegliate speciali”.

L’esito della general conference sembra peraltro rendere insoddisfatti tutti: non soltanto quelli che erano a favore dell’inclusione delle persone lgbt, ma anche coloro che hanno votato per il Traditional Plan, e ora si sentono a disagio, sotto accusa come dei “persecutori”.

Disagio e incertezza anche ai livelli superiori: il Connectional Table, organo globale rappresentativo di tutte le aree in cui è presente la Umc nel mondo (coordina il lavoro nell’ambito della missione, dei ministeri e delle risorse), riunitosi ai primi di aprile, si è interrogato sul proprio ruolo, affermando in un comunicato che «non può più esserci unità così come l’abbiamo intesa e praticata nel passato». L’incontro ha delineato quattro possibili scenari, dal “divorzio consensuale” (ipotesi circolata anche altrove), alla “disobbedienza protratta”, alla creazione di una “denominazione ombrello” sotto la quale riunire quelli che sono essenzialmente “corpi separati” secondo il modello “connectional” (uno di quelli respinti dalla GC), e infine alla creazione di una Conferenza centrale statunitense con il potere di modificare il Book of Discipline in materia di omosessualità (ma anche quello di imporre la decisione sugli altri paesi? E qui si torna punto e a capo).

Peraltro non bisogna dimenticare che da circa otto anni la Umc stava lavorando a livello mondiale proprio sul Book of Discipline, cercando di definire quali parti sono essenziali al mantenimento dell’identità globale della denominazione, e quindi inderogabili, e quali potrebbero invece essere adattate ai diversi contesti, Africa, Europa, Asia, Stati Uniti, come peraltro già avviene per alcuni aspetti dell’”amministrazione” della chiesa, lasciando un certo margine di libertà.

La decisione netta della GC sembra avere messo fine a questo sforzo, o per lo meno averlo messo in standby. La domanda di fondo, per molti, adesso è: ha senso continuare a cercare (faticosamente) una strada comune, quando le posizioni sono così diverse?

 

(foto: Wesley Fryer via Flikr)