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Corridoi umanitari, tempo di bilanci

È ora di guardare al futuro dei corridoi umanitari ideati nel 2015 e varati dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, dalla Tavola valdese e dalla Comunità di Sant’Egidio nel 2016. Da allora, grazie a questo programma, oltre 1600 profughi sono arrivati legalmente, dignitosamente e in sicurezza in Italia. Qualcuno ci ha detto che grazie ai corridoi umanitari “sono risorti” nel senso che sono tornati a vivere e a sperare. Altri hanno descritto gli operatori di Mediterranean Hope, della Diaconia valdese e della Comunità di Sant’Egidio come “angeli” che, scesi dal cielo, li hanno afferrati mentre naufragavano e li hanno portati al sicuro. In tre anni abbiamo visto le cicatrici sulla pelle di uomini torturati per le loro convinzione politiche o la loro appartenenza religiosa, abbiamo incontrato donne che hanno ritrovato una ragione per sorridere ai loro figli, abbiamo anche visto un’Italia solidale e accogliente che i media oscurano semplicemente perché il bene non fa notizia: più facile raccontare il male della violenza razzista, la tracotanza del suprematista della porta accanto che odia gli immigrati e – ancora di più – chi li difende.

Criticati da molti che ora ne apprezzano la portata innovativa e dirompente in un’Europa sempre più barricata in se stessa, oggi i corridoi umanitari si propongono come l’unica via sicura per un accesso legale in un paese sicuro. Molto più snelli e leggeri dei resettlement gestiti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) , si sono dimostrati anche più inclusivi e flessibili. La condizione per accedere al programma dei corridoi umanitari, infatti, è la “vulnerabilità”, una categoria ampia che ha consentito di includere malati e minori, donne vittime di tratta e profughi che avevano perso ogni cosa, vale a dire soggetti che con difficoltà accedono ai programma dei resettlement dei “rifugiati” certificati dall’Acnur. 

Questa buona pratica è stata notata in Europa e Francia e Belgio hanno deciso di adottarla, sia pure in piccoli numeri. Successivamente si è associata anche la Conferenza episcopale italiana, aprendo un corridoio dall’Etiopia per 500 profughi e chiedendo ora il rinnovo del protocollo con i Ministeri competenti. Di corridoi umanitari si discute anche in Germania, dove a breve sarà varato un programma ispirato al modello italiano. Personalità del Movimento 5 stelle, partito di Governo, si è espresso a sostegno di questa buona pratica e il ministro Salvini – lo stesso che ogni giorno predica “porti chiusi” e “aiuti a casa loro” – sembra aver fatto tesoro dell’esperienza dei “corridoi umanitari” quando ha accolto dei profughi perché arrivati in Italia “legalmente e con un aereo”. 

Registrati questi dati, sappiamo benissimo che ciò che abbiamo fatto è poco più che qualche goccia nel mare. I numeri dei richiedenti asilo che cercano disperatamente di fuggire dall’inferno della Libia – oggi dichiaratamente in guerra con se stessa – o da altri hub della disperazione come quello libanese resta eccezionalmente più alto di quanto possano contenere i corridoi umanitari oggi attivi. Forti dei risultati conseguiti, quindi, crediamo di poter proporre l’apertura di un “corridoio umanitario europeo” che garantisca una via legale e sicura di accesso nei paesi “volenterosi” a 50.000 profughi concentrati in Libia. Il numero non è casuale ma corrisponde alla stima delle persone vulnerabili stimate dall’Acnur intrappolate nel paese nordafricano. Vedremo se l’Italia saprà e vorrà porsi come capofila di questo progetto ma, al di là di questa variabile, crediamo che la proposta abbia un senso proprio nel particolare contesto europeo di questi mesi. Le prossime elezioni europee non saranno solo un test politico sul gradimento dei vari partiti che si candidano al governo dell’Unione ma sarà una verifica sull’idea stessa di Europa. E l’Europa non sopravviverà limitandosi a negoziare politiche agricole, commerciali o finanziarie. Di fronte a un fenomeno come quello migratorio e all’uso politico che se ne fa facendo, l’Europa sopravviverà solo se saprà governarlo in termini efficaci, sostenibili e coerenti con la sua tradizione giuridica e culturale in materia di diritti umani. Non chiediamo la luna. In fondo chiediamo all’Europa di ritrovare se stessa e la sua anima.