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«Se lo Spirito di Dio si muove in me…»

Concistori, secondo atto: il primo si era svolto un anno fa con l’incontro, già allora organizzato dalla Commissione «Vita delle chiese» del I Distretto. Allora si trattava di capire come si vive la chiesa; sabato 30 marzo, a Pinerolo, si è trattato di spiritualità. Che cos’è? Esiste? Ne esiste una protestante? Una valdese? Sono la stessa cosa?

Dopo le assemblee locali di novembre/dicembre, le risposte al questionario diffuso dalla Comm.ne esecutiva distrettuale sono state molte: fatto interiore, rapporto intimo con Dio, pratica comunitaria, «qualcosa che ci viene dato e ci fa vivere…»: la spiritualità può essere qualcosa di molto diverso a seconda delle esperienze fatte e della propria soggettività.

La «Giornata», che nuovamente è stata aperta a tutti i membri di chiesa, ha avuto come titolo «Io e Dio. “se lo Spirito di Dio si muove in me…”», e ha preso le mosse dalleslideillustrate da Lucia Dainese (Ced), relative alle assemblee e al questionario. Da queste due pratiche di «sondaggio» dell’animo della chiesa si è intanto ricavata una costante: praticamente la stessa partecipazione rispetto allo scorso anno alle assemblee, e una rispondenza al questionario in linea con la media di questo strumento. Esiste dunque, nonostante la «stabile decrescita») uno «zoccolo duro» tenace, che non solo continua a partecipare alle attività ecclesiastiche (come sottolineato anche dall’indagine illustrata all’ultimo Sinodo valdese e metodista🙂 ma anche continua a interrogarsi sulle modalità in cui la chiesa vive.

Hanno fatto seguito le relazioni introduttive, le quali state bene incardinate nei loro rispettivi titoli. Ermanno Genre, docente emerito di Teologia pratica alla Facoltà valdese di Roma, ha cercato nelle parole di Lutero e Calvino la ragion d’essere di una pratica di fede che esce dalle mura dei conventi e si spende nel mondo: è qui che si può concretare la sequela di Cristo, in mezzo a tutte le contraddizioni che fanno parte del mondo stesso. Giusto quindi parlare di «Spiritualità protestante in azione».

Non diversamente, Sabina Baral ha allargato lo sguardo a esperienze di chiese sorelle: la chiesa del domani, ma forse già di oggi, deve saper guardare a chi è fuori di essa: di fronte a una ricerca di senso che è patrimonio di tutti e tutte, «non può aspettare che le persone vengano da lei, ma deve andare verso gli altri». Per questo è indicativo parlare, come recava il titolo della relazione, di «Una chiesa sulla soglia». Il tutto nella consapevolezza che forse in campo protestante non siamo tanto abituati a parlare di spiritualità, ma piuttosto di «pietà», fondata sull’ascolto della Parola e non sul nostro io.

Ovviamente si tratterà di riconsiderare i propri linguaggi, a partire da un gioco di parole ricco di connotati: il pastore Stefano D’Amore («So-stare nella crisi?»), analizzando le risposte al questionario, e verificando che una maggior tiepidezza verso i contenuti della fede si avverte nelle fasce più giovani, come sembra avvenire per i nostri connazionali secondo ricerche sociologiche di più ampia portata, ha posto l’accento sulla necessità del dialogo fra le generazioni come elemento indispensabile per smuovere le acque. Per questo non si deve sostare (stare immobili, traccheggiare) nella crisi, ma interrogarsi su come poterci stare (so stare?).

Anche il dibattito che è seguito ha visto concentrarsi sui giovani e giovanissimi la maggior parte degli interventi: da lì infatti si deve partire, per rispondere a una sete di senso, generalmente rilevata da tutti, ma anche al bisogno, tipico di bambini e ragazzi, di farsi interrogare da vicende bibliche che a volte sembrano essere noiose. Sembrano a noi, tuttavia: perché poi sono storie intramontabili, come quella di Mosè. Molti, e forse insospettabili, gli aspetti diversi che vi si possono scorgere. C’è chi ha suggerito di prestare attenzione al diverso modo in cui ci si occupa dei più piccoli nelle chiese metodiste; La spiritualità nei più giovani c’è: tocca a chi è più in là con gli anni interpretarla, sollecitarla, accompagnarla; c’è anche nelle altre fasce, e c’è tra le pieghe di pratiche liturgiche un po’ esauste dalla consuetudine, come ha ancora detto Ermanno Genre: alcune (per esempio la liturgia della confessione di peccato /annuncio della grazia) sono un po’ macchinose, ma con la Riforma abbiamo imparato che niente è intangibile; in altri momenti del culto, peraltro, dovremmo ricordarci che dobbiamo pur sempre annunciare la ricerca della giustizia, quella del Regno, quella di Dio. La preghiera di intercessione sarebbe la collocazione propria, anche se a volte un po’ trascurata. Ecco dunque che la spiritualità (la liturgia ne è ovviamente una sede più che forte) non è necessariamente disgiunta dall’attualità.