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La crisi degli oppioidi

Nel 2017 negli Stati Uniti 70.237 persone sono morte di overdose, 47.600 delle quali per oppiacei e derivati. Una media di 130 al giorno, aumentata di sei volte in vent’anni. Se si considera che il numero dei morti nella guerra del Vietnam è stato di 58.200, ci si rende conto delle dimensioni del fenomeno della «opioid crisis», che non riguarda solo il consumo di eroina ma anche di medicinali, oppioidi sintetici largamente utilizzati come il fentanil o l’ossicodone.

A commentare queste statistiche del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie sono due chiese particolarmente impegnate, la Chiesa metodista unita e la Chiesa episcopale, che ieri hanno pubblicato entrambe sui loro siti Internet un contributo su questo argomento. Entrambe sottolineano la situazione particolarmente grave in Virginia occidentale, detentrice del primato nazionale per casi di overdose pro capite e per decessi.

Le due chiese si sono attivate con varie iniziative, a cominciare da un pellegrinaggio che si tiene proprio in questi giorni organizzato dalla Chiesa episcopale nella città di Huntington, nella cui contea il tasso di tossicodipendenza si aggira sul 10%. L’obiettivo è trasformare questa città, considerata «l’epicentro dell’epidemia», nell’«epicentro del recupero», come si legge nell’articolo«grazie alla sinergia fra agenzie governative, organizzazioni sanitarie e chiese» di diverse denominazioni e fedi, che ruota intorno al sindaco Stephen Williams, episcopale impegnato. Da città problematica a «città delle soluzioni», ha dichiarato Williams, tra cui la più notevole è la creazione di una task force di cui fanno parte, dopo una formazione specifica, leader religiosi, poliziotti, paramedici, esperti di dipendenze, per rispondere tempestivamente a ogni chiamata per overdose. L’obiettivo primario è quello di salvare vite, ma anche di trasformarle, sottolinea Williams, in un processo che coinvolge l’intera comunità.

Questa iniziativa della Chiesa episcopale di Huntington non è certo l’unica, e risponde a una delle risoluzioni della sua 79ma General Convention (luglio 2018) dedicata appunto al contrasto all’«epidemia degli oppioidi» attraverso la cura pastorale, la formazione, la predicazione, l’impegno in progetti a fianco di organizzazioni e fondazioni, promuovendo luoghi e occasioni di incontro per le famiglie colpite ma anche per i giovani e i bambini, perché prevenire è sempre meglio che curare.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche la United Methodist Church, che ha avviato sul suo sito la pubblicazione di una serie di articoli dedicati all’azione nella Virginia occidentale.

Qui emerge il ruolo delle chiese nell’offrire rifugio e sostegno alle persone dipendenti e alle loro famiglie, infrangendo lo stigma che le colpisce, e ricordando che la dipendenza non conosce distinzioni di classe sociale, reddito o livello culturale, come emerge dalla testimonianza di una donna che ora lavora come accompagnatrice nel recupero di persone che come lei “ci sono passate”.

La Conferenza delle chiese della Virginia occidentale lo scorso anno ha attivato durante la quaresima un’iniziativa intitolata «E se…?» (What if?): E se la chiesa si impegnasse per affrontare questa crisi? Sette settimane di sensibilizzazione con videotestimonianze, materiali di approfondimento; varie anche le proposte, dai gruppi di ascolto e mutuo aiuto delle famiglie in cui potersi confrontare davanti a un caffè e scaricare le proprie frustrazioni, al sostegno verso le persone nel momento della disintossicazione, aiutandole a riprendere in mano la propria vita e riacquisire una serie di abilità come cucinare o gestire la casa, per non dimenticare il sostegno psicologico e affettivo dei figli di persone dipendenti, che spesso scontano questo problema anche sulla loro pelle.