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«Certo che possiamo!»

In questo momento il tema Europa è al centro dell’attenzione, politica ma non solo. La ricerca di una identità condivisa, di una via comune fra i paesi che la compongono è uno dei temi in discussione. C’è però una realtà giovanile che da diversi decenni vive la dimensione europea, lo scambio culturale che questa offre. Non stiamo parlando dell’Erasmus, da più parti citato come uno degli esempi migliori di costruzione di un’Europa non solo burocratica e monetaria, ma dell’esperienza del Consiglio ecumenico giovanile in Europa (Eyce): «Una piattaforma, come ci piace definirla, che unisce i giovani cristiani di varie denominazioni e Paesi europei, dando loro la possibilità di vivere esperienze di dibattito e crescita sulle principali tematiche che impegnano le chiese e la società».

A raccontarlo, ai microfoni di Radio Beckwith evangelica, è la presidente del Comitato esecutivo dell’Eyce, Angelita Tomaselli, studentessa alla Facoltà valdese di Teologia di Roma, che da alcuni anni vive “sul campo” questa dimensione. «I nostri progetti, fatti dai giovani per i giovani, danno la possibilità di incontrare punti di vista e prospettive, contesti socio-culturali diversi che arricchiscono il nostro modo di vivere e sentire determinate problematiche. A volte ci impegnano in dibattiti fra visioni contrastanti, ma questo fa parte del processo di crescita che l’Eyce promuove. È uno degli aspetti più belli della missione dell’Eyce», osserva Tomaselli, «fin da quando è stata fondata, nel 1969»: questa la data del suo primo incontro generale, in Svezia, anche se le sue origini risalgono agli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, con i primi incontri fra i leadergiovanili delle varie chiese europee promossi dal Consiglio ecumenico delle chiese (Cec).

Tra i vari progetti dell’Eyce, la realizzazione del video Cut the prejudice!, dedicato agli stereotipi fra le religioni (ne abbiamo parlato qui), supportato dal Consiglio europeo e dall’otto per mille della Chiesa valdese e presentato a Roma, alla Facoltà valdese di Teologia, nel 2018.

Sempre nell’ottica dell’integrazione e dei diritti umani, esplorando il ruolo delle chiese in questo ambito, si colloca il nuovo progetto che vede impegnata Angelita insieme allo staff incaricato di stilare il programma, con il supporto di un osservatore e un traineresterni.

È una sessione di studi intitolata Of course we can!, che si terrà a Strasburgo dal 25 al 29 marzo prossimi. Il tema saranno le tematiche di genere, in particolare il modo in cui gli stereotipi «spesso influiscono sull’accettazione nella società ma anche nelle chiese», come si legge nella presentazione del programma, che sottolinea il ruolo importante giocato dalle donne in entrambi gli ambiti, spesso però «considerato secondario nonostante più di cento anni di battaglie per i loro diritti». Da qui l’importanza che i giovani e le giovani si adoperino per i diritti umani di tutti, uno degli obiettivi primari dell’Eyce, sostenuta per questo, come per il precedente progetto, dal Dipartimento giovanile del Consiglio europeo.

Venti ragazzi e ragazze tra i 18 e i 30 anni discuteranno, spiega Tomaselli, «del ruolo delle donne nelle chiese a partire da una prospettiva di carattere strettamente denominazionale ma anche con declinazioni di carattere sociale e culturale in riferimento al background del paese e della chiesa dal quale provengono». Si cercherà di capire se le chiese sono inclusive rispetto alle diversità, quali sono gli stereotipi di genere al loro interno, cercando di sviluppare un punto di vista comune e un approccio pratico.

L’incontro non ha una declinazione solo religiosa, ma si muove «nella prospettiva del rispetto dei diritti umani e contrasto ai pregiudizi e stereotipi di genere; la finalità è la costruzione di una società e di un ambiente interno alle chiese che garantisca spazi sicuri e di ascolto alle donne».

Indubbiamente però la dimensione ecclesiastica è centrale: tutti i partecipanti, spiega Tomaselli, «sono attivi nelle chiese dei loro paesi, recependo le istanze dei gruppi giovanili delle loro chiese. La dimensione della chiamata, della vocazione a servire, ci aiuta a sentire l’Europa anche da questo punto di vista, e questo è molto importante per le chiese stesse, capire come vengono affrontati determinati problemi. La politica vera e propria non trova molto spazio nel nostro lavoro, se non nelle questioni dei diritti umani, nell’incoraggiamento ai giovani a fare sentire la propria voce nei contesti europei in cui si trovano a lavorare: tra gli ambiti in cui stiamo avendo momenti importanti di interlocuzione rivedendo anche le modalità di lavorare insieme, c’è per esempio la Kek, la Conferenza delle chiese europee».

Nella foto: lo staff in occasione del suo primo incontro in febbraio. Da destra, Ramy Hanna Farouk (Chiesa Copta Ortodossa, Egitto), Noora Mattila (Luterana, Finlandia), Angelita Tomaselli (Chiesa valdese, Italia, coordinatrice) e Visar Xhambazi (Kosovo, non afferisce ad una denominazione precisa). Non è presente, ma era collegata via Skype dall’Italia, Giulia Dalmonte.