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Lampedusa, attesa dopo lo sbarco

Un momento di sollievo prima di giorni di incertezza. Per la nave Mare Jonio, per il suo equipaggio e per le 49 persone migranti salvate lunedì dall’imbarcazione gestita dall’ong Mediterranea, la giornata di martedì 19 marzo è segnata dai contrasti.

Rimasta ferma a un miglio e mezzo dalla costa per diverse ore, l’imbarcazione era stata poi scortata nel porto di Lampedusa dalla Guardia di Finanza ed è stata sequestrata dietro disposizione della Procura di Agrigento, che nel pomeriggio ha autorizzato lo sbarco dei naufraghi.

Per loro quella appena trascorsa è stata la prima notte a Lampedusa, dove alcuni hanno raccontato di essere stati recuperati e rispediti per cinque volte in Libia nei precedenti tentativi di attraversare il Canale di Sicilia. L’accoglienza a Lampedusa è stata caratterizzata da qualche applauso della gente accorsa nel molo dell’isola, mentre il comandante della Mare Jonio, Pietro Marrone, è stato convocato d’urgenza dalla Guardia di finanza di Lampedusa, che ha provveduto al sequestro del mezzo per permettere alla Procura di procedere con l’inchiesta aperta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Alberto Mallardo, di Mediterranean Hope, il progetto di osservatorio e accoglienza della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, ha seguito da terra, da Lampedusa, l’evoluzione della vicenda della nave Mare Jonio, e racconta che «le 49 persone salvate sono accolte nell’hotspot di Lampedusa e da qui verranno poi trasferite in Sicilia in uno dei centri di seconda accoglienza sparsi per la Sicilia e l’intera penisola italiana». «Ieri sera – prosegue Mallardo – eravamo in tanti ad accoglierli, una parte di noi era autorizzata ad essere all’interno del perimetro del porto e a fornire la prima assistenza. C’erano anche tante persone che non avevano questa autorizzazione e che attendevano fuori e hanno applaudito, incitato e dato il benvenuto a chi arrivava».

Le ore successive allo sbarco hanno portato con sé un copione che va ancora interpretato, quello del sequestro della nave e dell’impossibilità, anche per l’equipaggio, di tornare a bordo. «Verso mezzanotte – ricorda Mallardo – eravamo in procinto di chiudere la giornata, quando siamo stati contattati dall’equipaggio di Mediterranea che purtroppo ci avvisava che stavano partendo le procedure per il sequestro, quindi l’equipaggio non essenziale per l’imbarcazione non è stato riautorizzato a salire a bordo. Mediterranean Hope è stato un po’ un luogo di incontro per le varie realtà che approdano qua sull’isola e abbiamo ospitato 8 ragazzi nei nostri spazi».

A partire dagli accordi Italia-Libia del febbraio 2017 e ancora di più dall’estate 2018, la rotta del Mediterraneo centrale è diventata sempre meno percorribile e la progressiva riduzione delle operazioni di ricerca e soccorso hanno ridotto fortemente il ruolo di Lampedusa come luogo di approdo di chi tentata, riuscendoci, di attraversare il mare partendo dalle sponde nordafricane. Per l’isola, racconta Alberto Mallardo, «gli ultimi mesi sono stati mesi di profondo cambiamento, specie per chi come noi è qui in primo luogo per accogliere chi arriva dal mare. I numeri ci parlano di una drastica riduzione degli arrivi: nei primi due mesi dell’anno sono arrivate a Lampedusa circa 200 persone, mentre lo scorso anno appena 3.500 persone».

Mediterranean Hope mantiene una presenza costante, un po’ più leggera e un po’ più flessibile rispetto ad altri periodi, ma è lo spirito dell’isola a essere in parte cambiato. «In questi mesi sull’isola si respirava in parte dei sentimenti di tristezza o di rassegnazione, perché siamo ben coscienti che le persone non arrivano, che non riusciamo più a vedere qua a Lampedusa, non sono scomparse completamente da questo mondo, ma sono bloccate nei lager in Libia, lager dai quali anche recentemente ci sono arrivate immagini che sono poi state anche diffuse dalle televisioni italiane e internazionali».

Sono immagini che raccontano di persone che subiscono costantemente torture, che sono denutrite e ricattate, e che in questi giorni non possono che riportare alla mente la storia di Segen, un ragazzo salvato lo scorso anno dalla ong catalana Proactiva Open Arms, oggi ferma, la cui storia fu raccontata dall’operatore di Mediterranean Hope Francesco Piobbichi. Segen arrivò a pesare 30 kg e uno o due giorni dopo lo sbarco morì di stenti. «La rassegnazione e la tristezza che si sono respirata in queste settimane a Lampedusa – conclude Mallardo – riflettono quello che sta succedendo in Libia e il deserto che è stato stato costruito in mare, questa frontiera ormai quasi invalicabile, che continua a mietere vittime. È notizia di ieri un naufragio, sono state recuperate 15 persone non si conosce ancora il numero dei dispersi».